L’impegno è chiaro: ridare anima alla Nazionale.
E chi meglio di lui? Rino Gattuso ha questo compito gravoso, ma vuole pure che la sua squadra giochi a calcio. Chi lo conosce bene riferisce di quanto sia limitante parlare di Gattuso come un semplice motivatore, uno tutta grinta e poche idee. Sbagliato: Gattuso viene da anni di studio, ha rubato ad Ancelotti, anche se poi i rapporti si sono freddati dopo lo sgarbo di Napoli, ha preso da Guardiola, andandolo a studiare da vicino a Manchester. Ha in testa un calcio offensivo, di qualità. Un De Zerbi, insomma. Solo che quest’ultimo passa per il profeta di un calcio visionario e Rino, per indole, è uno da pane e salame. Ma ricordiamo pure che lo spareggio tra il Foggia di Roberto e il Pisa di Ringhio (soprannome che non ama, soprattutto è fuorviante per il tecnico), del 2016 per salire in B, lo ha portato a casa l’attuale ct della Nazionale. Di sicuro Rino non è uno da caviale e non lo sarà mai. Non lo era nemmeno da calciatore, iconiche certe sue esternazioni da campo, come la lite con lo squalo Jordan e quando disse a Beckham, che amava buttarsi per terra, “This is not a swimming pool” (non è una piscina). Non è da caviale nemmeno per certe esperienze fatte in giro per l’Europa, da Sion a Creta, fino Valencia, Marsiglia e Spalato, passando anche per piazze più intriganti come la sua Milano o Napoli (dove ha vinto una coppa Italia in tempo di Covid). Ha un pregio, Rino. Nella carriera da calciatore e da allenatore è sempre stato rispettato da tutti. Molti hanno avuto a che fare con la sua schiettezza, con i suoi modi spesso bruschi ma sinceri di rivolgersi a compagni o calciatori (Montolivo, abbiamo appreso, con lui non ebbe un ottimo rapporto al Milan). Schietto anche quando, dopo il fallimentare Mondiale in Sudafrica, a chi gli ricordava del titolo di Cavalieri meritato quattro anni prima in Germania con la vittoria della Coppa del Mondo, ha risposto «siamo i cavalieri della vergogna». Quello è stata la sua ultima dichiarazione a tinte azzurre. Sono passati quindici anni, e rieccolo a rappresentare la Nazionale, che qualche vergogna negli ultimi anni l’ha conosciuta con le due mancate qualificazioni alle fasi finali del Mondiale. Gattuso, il suo senso di appartenenza alla maglia della Nazionale, lo ha sempre dimostrato, specie nell’anno Domini con la vittoria della Coppa del Mondo e lui protagonista, definito da Buffon «l’anima della squadra insieme con Cannavaro». Prima di partire per la spedizione in Germania, Ringhio si strappa un muscolo nell’ultima amichevole contro la Svizzera ed è a serio rischio taglio.
MODULO, NON DOGMA
Rino stesso, in lacrime, ha convinto Lippi a non fare a meno di lui. Impossibile dirgli di no. «Mi aggrappo al pullman come Fantozzi», disse al ct. Rino entra tra i convocati, il ritiro è un’agonia: ore e ore di fisioterapia, senza mai perdere le speranze. Il suo Mondiale finisce al fischio dei supplementari della finale: si toglie le scarpe e fa capire a Lippi che non avrebbe mai battuto il rigore. Non c’è stato bisogno, quello che doveva fare lo aveva fatto prima. Quell’Italia, anche grazie a lui, ancora oggi gonfia il petto per quella vittoria. Ora i giocatori li deve chiamare lui e le decisioni saranno sue: e avrà bisogno di tutti. Le richieste: attaccamento e motivazione da parte dei calciatori. Chi non ha questo, è fuori. Il modulo? Si parte dal 4-3-3, con Chiesa di ritorno, con Tonali suo alter ego in campo. Ma è chiaro, poi: se ci sono 10 squadre che in Italia applicano la difesa a tre, Rino ne terrà conto. Non potrà fare finta di niente. Il ruolo di un ct è anche questo.