Roma, si perde, e allora? Torneremo a vincere. Una squadretta passa, la maglia resta

Lunedì 6 Dicembre 2021 di Enrico Vanzina
foto MANCINI

Diceva Totò: esistono tristezze e tristezze. Certamente una tremenda tristezza è stata quella che noi romanisti abbiamo provata ,sabato pomeriggio, quando allo stadio Olimpico la Roma di Mourinho è stata strapazzata e disintegrata dall’Inter di Inzaghi.

Io ero allo stadio con alcuni amici e dieci minuti prima della fine siamo usciti, muti e stravolti, per cercare di mettere fine a quello strazio in campo dove un gatto si stava divertendo con un topolino. Poi, a freddo, ho ragionato. E ho capito che quella mia tristezza era solo una delle tante tristezze delle quali parlava Totò. Non era una tristezza tragica, assoluta, perché durante la tragedia è andata in scena una cosa meravigliosa: i tifosi della Curva non hanno mai smesso di cantare, di saltare, di incitare, di tenere alto l’onore della loro squadra del cuore.


Niente fischi, niente malumori, nessuna acredine, solo amore smisurato per i colori giallorossi. Chi non è di Roma può domandarsi: come mai i tifosi della Sud cantavano mentre la Roma perdeva sonoramente? Perché, sempre parafrasando Totò, esistono tifosi e tifosi, esistono curve e curve, esistono squadre e squadre. Molti conoscono la parola d’ordine del tifo giallorosso: la Roma non si discute, si ama. Sembra un proposito difficile da rendere concreto. No, non è difficile quando si tratta della Roma. Perché la Roma non è solo il nome di una squadra, è un concetto universale. La Roma è anche…Roma. La città che ha insegnato la civiltà al mondo intero. Che conserva gran parte dell’arte del pianeta. Che resiste in piedi, simile a se stessa, da migliaia di anni. Roma è la bellezza, è il diritto, è la Storia. Roma è l’umorismo. Roma è il cinema. E i tifosi della Roma lo sanno. Si perde? Ma che ce frega. Tanto poi si vincerà. Nelle grandi civiltà si passa spesso dalla luce al buio, e viceversa. Cosa conta il breve arco di una squadra debole? La squadretta passa, ma l’alone accecante di una maglia che rappresenta Roma non potrà mai dissolversi. Ripeto, inconsciamente, chi tifa Roma questo lo sa. E’ un tifoso filosofo. Nel senso che prende la vita come viene, senza mai abbandonare la speranza.

LA DIVERSITÀ

Per carità, tutte le tifoserie sono attaccate alle loro maglie. Ma anche qui esistono tifoserie e tifoserie. Quella del Napoli, per esempio, una delle più sanguigne, si spegne quando il Napoli perde. Nello stadio cala un silenzio rassegnato che fa tenerezza. Soffrono proprio. A Torino gli juventini tifano con uno scopo solo: vincere. Abituati troppo bene, per loro conta soprattutto il risultato. I tifosi del Milan, invece, sono snob, come quelli del Real Madrid, se il Milan vince ma gioca male storcono il naso e talvolta fischiano. A Roma, niente di tutto ciò. Si tifa per qualcosa che va oltre il calcio. Noi romanisti tifiamo perché siamo romani. Ricordo un vecchio film con Aldo Fabrizi ambientato in una caserma. Tutti i marmittoni, colti dalla malinconia, prima di addormentarsi ricordavano le loro città lontane: Palermo, Bari, Torino, Firenze, Treviso, Ancona, Genova. Tutti sostenevano che la loro era la città più bella del mondo.
Alla fine Aldo Fabrizi, il sergente, spegneva la luce esclamando: “Ma che state a dì? C’è Roma e basta!”. Sarò di parte ma penso la stessa cosa anche io. La stessa che pensano i ragazzi della Sud: c’è la Roma e basta. Le tristezze passano ma l’amore per la Roma mai. E ci vuole pazienza: perché noi romanisti siamo fatti così. 

 


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