Trials Usa: è Trayvon Bromell il più veloce nei 100 metri. Dietro Baker e Kerley

Lunedì 21 Giugno 2021 di Piero Mei
Trials Usa: è Trayvon Bromell il più veloce nei 100 metri. Dietro Baker e Kerley

“La fede si misura con la pazienza” ha detto Trayvon Bromell, ventiseienne sprinter di San Pietroburgo, non quella del gelo del Mare Baltico ma quella del sole della Florida che comunque dalla prima ha preso il nome, grazie al lancio di una monetina fra i due fondatori di fine Ottocento, Wlliams e Demens: vinse Demens e battezzò la nuova città americana con il nome di quella russa dove era nato.

Trayvon Bromell ha appena vinto, ai Trials Usa di atletica, i 100 metri in 9.80 (vento a favore 0,8), avvicinando di parecchio il 9.77, miglior tempo dell’anno, che lui stesso aveva registrato a inizio giugno. Sarà dunque lui il favorito per la “gara delle gare” a Tokyo olimpica e per prendere l’eredità di Usain Bolt che da Pechino 2008 in qua ha sempre vinto questa gara, e quella dei 200, e al quale la medaglia d’oro 2021 l’hanno appena data come papà dell’anno i gemelli neonati, Saint Leo, che è il secondo nome di Usain, e Thunder, che vuol dire tuono, e Bolt lampo, tutto unito vuol dire fulmine.

Fede e pazienza

Fede e pazienza Trayvon ne ha in quantità industriale.

Non bastassero tutte le avventure e disavventure vissute da bambino ed adolescente (1995 l’anno di nascita), mamma costretta a sgobbare nella povertà, fratture di braccia e gambe per Trayvon scugnizzo e anche peggio, sarebbero sufficienti gli ultimi cinque anni a testimoniarlo.

Perché Trayvon fu un ragazzino prodigio nell’atletica: il primo americano Under 20 a correre i 100 metri sotto i 10 secondi, presentandosi come nuovo possibile Bolt. Arrivò a Rio 2016 con qualche pretesa, pure se sentiva già, al tallone di Achille, lato sinistro, come una puntura, una fitta continua. Da quei suoi primi Giochi, però, uscì senza nessuna medaglia e pure su di una sedia a rotelle. Fu alla fine della staffetta, per disputare la quale s’era imbottito di analgesici: terzo sul traguardo, ma poi team squalificato per uno dei tanti passaggi di testimone irregolari che hanno fatto la cifra della staffetta Usa, spesso formidabile quanto scombinata.

Il progetto Trayvon

Tornato a casa, si è subito sottoposto alla prima di molte operazioni chirurgiche. Riusciva a malapena a camminare, figurarsi correre o più ancora gareggiare. Però la fede e la pazienza aiutarono. Bromell ha cambiato allenatore, scegliendo Rana Reider, lo stesso dello sprinter canadese De Grasse e del triplista Taylor. Reider ha studiato un programma specifico per il nuovo allievo e il virus ha dato loro una mano con il rinvio olimpico: Bromell aveva bisogno di tempo che gli consentisse di superare la chirurgia e riacquistare i movimenti giusti. Fu chiamato “Progetto Trayvon”: consisteva di corsette a piedi nudi sull’erba e di saltelli, come fosse un bambino, con in mano pesi di 45 pounds, circa 20 chili e mezzo. “Bisognava ricostruirlo dai piedi”. Letteralmente. Il “Progetto” sembra aver riportato Trayvon alla velocità di prima: Tokyo lo aspetta.

Gli altri

Faranno compagnia americana a Bromell ai prossimi Giochi Ronnie Baker, secondo in 9.85, e Fred Kerley, 9.86, il quattrocentista che ha deciso di sfidarsi nello sprint puro «perché voglio fare come Bolt, vincere 100 e 200». La finale di Eugene è stata la più straordinaria delle corse: cinque atleti sotto i 9.92, non era mai successo.

L’impresa non è riuscita a Gatlin: il “vecchio” Justin, 39 anni, oro ad Atene 2004, si è infortunato in semifinale, pure qualificandosi alla finale. Ha voluto correrla ugualmente (“era la mia ultima chance olimpica” ha detto) ma ha corricchiato, per i suoi standard, in 10.87. Ma ha voluto onorare se stesso e l’atletica, il che non fu quando fu squalificato per doping.

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