«Ora che sono distratti lo possiamo dire. La pizza romana è più bona de quella napoletana» ha scritto su Twitter nei giorni scorsi Prestigioso, pseudonimo - si può presumere - di un romano, che spiritosamente ha approfittato dello scudetto azzurro per riproporre una rivalità gastronomica accesa quasi quanto quella calcistica.
In teoria non dovrebbe esserci partita, la pizza è considerata in tutto il mondo un’invenzione partenopea (in realtà gli storici dell’alimentazione spiegano che non è proprio così).
Ciò che colpisce è, come al solito, l’asprezza, la perentorietà dei toni con cui spesso si affrontano argomenti così futili. Vere e proprie invettive, «la romana non è pizza, è suola di scarpe condita», «la napoletana è gomma indigeribile», generalizzazioni insensate che servono solo a trasferire sulla tavola gli insensati i conflitti delle curve di stadio, con il consueto repertorio dell'intolleranza - è il caso di dire - alimentare, come quando ci si accapiglia per le presunte ricette autentiche della carbonara o del ragù. Mentre basterebbe limitarsi a un «a me piace di più la pizza scrocchiarella di Roma», o «a me piace più quella soffice di Napoli» oppure, perché no, «a me piacciono tutte e due», senza farla tanto lunga.