Da questa mattina i Tmb di E.Giovi, il maggiore fornitore di Ama sul fronte del trattamento dell’indifferenziato, accetteranno meno carichi di spazzatura da Roma.
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FUORI REGIONE
Dopo lo stop voluto dalla magistratura al sito di Roncigliano, si apre una settimana molto complessa sul fronte dei rifiuti: nella Capitale, entro qualche giorno, molti quartieri potrebbero risvegliarsi con i cassonetti traboccanti di sacchetti o con la spazzatura sui marciapiedi. Ama, in collaborazione con il suo azionista (il Comune), sta bussando a tutte le porte per trovare nuovi sbocchi, cioè per portare i materiali ad altri Tmb o inceneritori. Finora ha avuto disponibilità dall’abruzzese Deco, dall’emiliana Hera, dalla Mantova Ambiente o, restando nel Lazio, dalla Rida di Aprilia. Saranno aumentati anche i viaggi della speranza verso l’estero. Al di là dell’aumento dei costi per trasportare questa spazzatura fuori regione, a via Calderon de La Barca spiegano che non basta ancora: «Finora sono stati recuperati sbocchi per 800 tonnellate al giorno - ma non tutti saranno operativi da oggi - di conseguenza non si sa ancora che cosa fare con 200 tonnellate di rifiuti, che rischiano di restare in strada». Che sono poco meno della quantità prodotta da un singolo Municipio della Capitale. Ci sono tutte le condizioni per una nuova emergenza, anche se la stessa Ama ha deciso, da un lato, di riaprire il sito di trasferenza di Ponte Malnome per gestire meglio le operazioni di logistica (e facilitare quelle di raccolta).
Dall’altro, ha chiesto ad altre regioni di prendersi i rifiuti di Roma. Sono state sondate la Toscana, la Campania, le Marche, la Sicilia, tutti territori dove però si può andare soltanto dopo un’intesa a livello delle giunte regionali interessate. Di fronte a questo scenario, non resta però che provare a sbloccare i conferimenti ad Albano, dove si possono “abbancare” ancora 150mila tonnellate di rifiuti. Venerdì scorso la procura di Velletri ha chiuso l’impianto imputando alla società che la gestisce, la Ecoambiente, di non aver mai sottoscritto una fidejussione, una polizza, per garantire i costi della bonifica e della messa in sicurezza dopo la sua chiusura (la cosiddetta fase post mortem che dura 30 anni) né di aver accantonato le cifre necessarie, prendendole dalla tariffa versata dai suoi clienti. L’azienda, nell’istanza di dissequestro che presenterà in settimana, ricorderà ai magistrati che mai la Regione, autorizzando il catino, avrebbe chiesto un atto simile. Ma si dirà pronta a versare quanto dovuto come garanzia per riattivare l’impianto di Roncigliano. In Campidoglio e presso la stessa Ecombiente sperano che questa strategia possa portare alla riapertura del catino in tre settimane. Altrimenti a Roma sarà il caos.