Quest’estate il Telefono rosa ha squillato a più non posso.
Giulia Tramontano, il papà: «Mia figlia è morta perché voleva un bambino. Credeva nell'amore»
L’ALLARME
La città sta soffrendo ancora per molte ferite aperte. Tra queste, ci sono i femminicidi che hanno colpito negli ultimi mesi il quadrante Nordovest della città e in particolar modo Primavalle. Prima la morte di Michelle Causo, la 17enne uccisa in modo brutale da un suo coetaneo che riteneva un amico, e poi l’infermiera Rossella Nappini. Un disagio profondo che ha portato anche Papa Francesco, nei giorni scorsi, a visitare il quartiere e incontrare i parroci della zona, in prima linea per sostenere la comunità più volte colpita al cuore proprio per quanto accaduto. La violenza di genere avviene spesso per lungo tempo e nel silenzio delle mura di casa.
IL PROGRAMMA
Telefono Rosa da novembre ripartirà con un progetto che coinvolge più di 30 scuole secondarie di II grado della Capitale e della Città metropolitana. La riapertura dell’anno scolastico, infatti, permette di riavviare il dialogo con i giovani che sempre più spesso chiedono aiuto.
L’obiettivo, spiegano dall’associazione, è «formare ed educare studenti e studentesse alla parità di genere e al rispetto. È essenziale formare anche i ragazzi: abbiamo notato che questi incontri aiutano anche loro. La partecipazione è fondamentale». «Vediamo una violenza esercitata da ragazzi molto giovani sulle loro coetanee. C’è una generazione che in qualche modo sta scoprendo così il loro disagio - prosegue Maria Gabriella Carnieri Moscatelli - Già nelle scuole medie poi comincia lo stalking: i ragazzi lo recepiscono ma vedono come sia difficile chiedere aiuto. Dopo la pandemia hanno un po’ perso il senso della realtà, non sono più abituati a stare in gruppo ma davanti allo schermo». Gli incontri fatti a scuola sono fondamentali per stabilire un rapporto con le vittime più giovani e che magari non hanno ancora quegli elementi di base per cercare di far attivare il campanello d’allarme di una violenza di genere. «Quando andiamo nelle scuole, dopo un confronto di un’ora o due, veniamo avvicinate dai ragazzi stessi. Piano piano si confessano e raccontano le loro storie», conclude la presidente del Telefono Rosa.