«Deve augurarsi che la polizia lo trovi prima di me perché non risponderei delle mie azioni». È un padre dilaniato dal dolore, quello della 19enne violentata venerdì sera su una stradina sterrata ad Anzio.
Stupro ad Anzio, la rabbia
Una litania di rabbia cocente perché sua figlia è stata afferrata, gettata su un prato incolto, dietro una baracca ritrovo di disperati e tossici ed è stata violentata. Come fa un padre ad accettarlo? «Meglio che lo trovi la polizia», continuava a ripetere. Sua figlia - che chiameremo Angela - venerdì pomeriggio non sarebbe dovuta uscire: c’erano i compiti da fare, avrebbe dovuto studiare in vista di una scadenza importante poi però una sua amica l’ha convinta. C’era il weekend per mettersi in pari con le lezioni e allora si è decisa. Una passeggiata in un centro commerciale vicino ad Anzio, l’autobus che le riporta indietro, lei che scende quando ormai è buio sulla Nettunense e decide di “tagliare” ancora una volta per quella stradina che l’avrebbe portata in viale Nerone. Ancora pochi metri e poi sarebbe arrivata a casa. Con la sua amica, che invece ha proseguito la corsa, resta al telefono: quel viottolo lo percorre sempre come fanno tutti per accorciare ma era ormai buio e salutandosi sul mezzo le due ragazze si sono dette “vai, stiamo al telefono” perché entrambe conoscono quei 200 metri dove spesso c’è chi, nascosto nella vegetazione, spaccia o si droga.
E proprio mentre qualcuno - tuttora ricercato - ha afferrato Angela da dietro, trascinandola sull’erba, la sua amica ha perso la comunicazione. Alla polizia non ha saputo raccontare altro se non che, ad un certo punto, la linea è caduta. Lei ha provato a richiamare Angela ma non le ha più risposto. Come la giovane non ha potuto rispondere alla madre che, non vedendola rincasare, aveva iniziato a cercarla. È stata lei a dare l’allarme: «Mia figlia non è tornata a casa, non risponde al telefono né ai messaggi». Gli agenti del commissariato - meno di 500 metri di distanza da dove si è consumato lo stupro - iniziano a cercarla e la trovano. Dopo la violenza Angela riesce a raggiungere il ciglio della strada. «Mi hanno violentata» dirà tra le lacrime poi il trasferimento in ospedale dove i sanitari avviano le procedure specifiche dedicate alle violenze sessuali.
Gli elementi
Del suo aggressore al momento non c’è traccia: il caso viene preso in mano dagli agenti della Squadra Mobile di Roma ma al momento non ci sono elementi sufficienti a identificare l’aggressore. Non c’è un identikit: Angela non ha saputo fornire elementi utili a definire anche una vaga descrizione e pure gli impianti di videosorveglianza della zona non pare al momento siano stati confortanti. La stradina di fatto è pubblica, sulla sinistra il supermercato “Eurospin” ha alcune telecamere puntate però sul parcheggio interno senza arrivare a inquadrare l’area interessata e lo stesso per l’impianto di una delle scuole che si affaccia sul viottolo. Quasi certamente l’aggressore di Angela è fuggito sulla Nettunense senza arrivare dunque a viale Nerone. È tornato indietro da dove era arrivato considerata lecita l’ipotesi, avendo afferrato la ragazza alle spalle, che l’abbia avvistata quando è scesa dal bus e poi seguita. A questo punto delle indagini - senza testimoni, senza descrizioni, senza immagini al momento utili - dirimente sarà l’esame del Dna raccolto sulla vittima e sui suoi indumenti. Si confida di poter estrapolare tracce genetiche maschili da confrontare con quelle registrate in banca dati, sperando che l’uomo sia già schedato.