Valeria Fioravanti, 27enne morta per meningite ma «scambiata per mal di testa e di schiena». La perizia medica choc

Valeria ha vissuto un vero e proprio calvario: 7 visite in 4 ospedali diversi di Roma

Lunedì 4 Settembre 2023 di Marta Giusti
Valeria Fioravanti, 27enne morta per meningite «scambiata per mal di testa e di schiena»

Valeria Fioravanti, 27 anni, è morta per meningite ma i medici non l'hanno capito e le hanno somministrato antidolorifici per curare l'emicrania prima e altri per il mal di schiena dopo. Il farmaco antinfiammatorio che le era stato prescritto ha annullato ogni dolore: questo ha fatto sì che nel frattempo la meningite continuasse ad avanzare fino ad uccidere la giovane donna. Secondo quanto riporta «La Repubblica», la ragazza «Non riusciva più a parlare nè a camminare».

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La doppia colpa medica

Valeria ha vissuto un vero e proprio calvario: 7 visite in 4 ospedali.

La ragazza è morta il 10 gennaio per una doppia colpa medica, la prima si è consumata al policlinico Casilino: una cefalea causata da un movimento «incongruo» compiuto mentre si lavava i capelli. Il secondo errore, a sette giorni di distanza, al San Giovanni Addolorata: una lombosciatalgia.

La consulenza medico legale è arrivata a una conclusione netta, la malattia che uccise la ragazza non venne riconosciuta, non si eseguirono gli esami specifici per tempo nonostante il quadro clinico suggerisse di verificare se la paziente fosse affetta da meningite. Adesso i tre sanitari che intervennero sulla 27enne rischiano di subire un processo con l’accusa di omicidio colposo da parte del magistrato che indaga sul caso, il pm Eleonora Fini.

Come recita il reato i medici furono «superficiali» nel trattare la paziente. La mancata diagnosi e la somministrazione di un antinfiammatorio, che anestetizzava la ragazza dal dolore e non la guariva dalla meningite, l’ha di fatto condannata a morte.

Il calvario

La ragazza, accompagnata dai suoi familiari, bussò alla porta di quattro ospedali. La storia merita di essere raccontata dall’inizio. Il 25 dicembre 2022 la ventisettenne è sul lettino al policlinico Campus Biomedico: da una settimana ha un foruncolo infiammato, forse per un pelo incarnito, sotto l’ascella destra.

Un chirurgo lo rimuove, due punti poi viene mandata a casa. Valeria, dopo pochi giorni sta male, è il 29 dicembre: «intensa cefalea, non risponde a tachipirina, vertigini da due giorni associate a cervicalgia», annota il medico del Casilino che la visita. La paziente esce poco dopo dall’ospedale, apparentemente sta meglio, il mal di testa sarebbe causato da un movimento brusco di qualche giorno prima eseguito mentre si lavava i capelli.

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Il dottore le inietta 30 milligrammi di Toradol e le prescrive una terapia sempre a base dello stesso antinfiammatorio per 10 giorni con l’indicazione di fare una visita presso un centro che tratta cefalee. Il 30 dicembre è di nuovo al Policlinico, chi la visita le fornisce indicazioni più precise su come trattare la ferita sotto l’ascella. Valeria sta sempre peggio, passa a casa il Capodanno.

Il 4 gennaio decide di andare in un altro pronto soccorso, quello del San Giovanni Addolorata. La ragazza spiega di avere dolore in tutto il corpo e in particolare sulla nuca. I due dottori che la visitano optano per una tac lombo sacrale.  La diagnosi è netta: sospetta lombosciatalgia. La ragazza viene dimessa, i sanitari le somministrano altro toradol. Due giorni dopo la situazione precipita, Valeria in condizioni critiche si presenta di nuovo al San Giovanni. Chi la prende in cura dispone subito una tac celebrale, il responso è impietoso: meningite acuta in fase conclamata.

È una corsa contro il tempo dal pronto soccorso contattano lo Spallanzani per chiedere assistenza, la giovane viene ricoverata in terapia intensiva.

Il 7 gennaio in coma, intubata e sedata, viene portata all’unità di terapia intensiva di neo-chirurgia del Gemelli. Qui i medici cercano in tutti i modi di strapparla alla morte, non ci riescono. Valeria il 10 gennaio esala l’ultimo respiro. Adesso i genitori reclamano giustizia

Cosa era successo

La sua agonia è cominciata a Natale 2022, quando - spiega il padre, Stefano Fioravanti - «ha scoperto di avere un ascesso sotto l'ascella del braccio destro provocato probabilmente da un pelo incarnito». Si trovava al lavoro quando è stata portata al pronto soccorso del Campus Biomedico e lì, prosegue, «le hanno praticato una incisione e messo due punti di sutura». Il giorno di Santo Stefano «la ferita si era infettata e le faceva male. Per questo - continua il papà - l'abbiamo portata al pronto soccorso dell'ospedale Casilino dove le hanno tolto i punti e disinfettato la ferita, dimettendola.

Tornata a casa sono cominciati i dolori, prima alla spalla e poi alla testa. Il giorno dopo siamo tornati al pronto soccorso e le hanno prescritto iniezioni di antidolorifici, dimettendola di nuovo. A casa ha cominciato a contorcersi dal dolore e il giorno dopo siamo tornati allo stesso pronto soccorso dove i medici hanno sostenuto che Valeria esagerasse e all'insistenza di mia moglie per una visita più approfondita, hanno minacciato di chiamare i carabinieri». Passano altri giorni e il dolore, invece, continuava a essere insistente.

«Il 4 gennaio 2023 abbiamo deciso di portarla al pronto soccorso dell'ospedale San Giovanni dove l'hanno sottoposta a una tac che ha evidenziato una protrusione alla colonna vertebrale. Le hanno quindi cambiato la terapia e messo un collare, dimettendola ancora». «Ma», dice ancora Stefano Fioravanti, «la mattina del 6 gennaio Valeria non parlava più e quando lo faceva diceva cose senza senso. Siamo tornati al San Giovanni dove le hanno fatto un prelievo da far analizzare allo Spallanzani. Lì si è scoperto che era affetta da meningite. È stata intubata e, all'una di notte, trasferita in terapia intensiva in un altro ospedale. Ma alle 7 i medici ci hanno detto che per lei non c'era più nulla da fare».

L'ultimo saluto

Valeria è cresciuta nel quartiere popolare di Don Bosco: abitava in via Mazzoccolo. Ha studiato dai salesiani, poi è andata al linguistico Lombardo Radice. «Resteremo accanto alla famiglia, alla mamma Tiziana e al papà Stefano che chiedono giustizia, come tutti noi», dice Mauro Iezzi, padre di una delle sue compagne di scuola. I lavoratori di Adr vivono ora nel lutto. «Era una ragazza splendida - commenta Alessandro Intreccialagli, suo amico e collega - Era una persona in grado di portare una luce, grande lavoratrice, stimata da tutti, matura e responsabile. Non è possibile che si muoia così a 27 anni. Abbiamo lanciato una raccolta di fondi per la famiglia e tutti noi lavoratori di Adr stiamo contribuendo».

 

Ultimo aggiornamento: 5 Settembre, 09:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA