Zingaretti: «Il centrodestra è in crisi, alle Europee dimostreremo che sono in minoranza»

Il presidente della fondazione Pd: "C’è stata una presa di coscienza sul bisogno di un’alternativa dopo la vicenda dei manganelli di Pisa"

Mercoledì 28 Febbraio 2024 di Ernesto Menicucci
Zingaretti: «Il centrodestra è in crisi, alle Europee dimostreremo che sono in minoranza»

Nicola Zingaretti, deputato dem, presidente della Fondazione del Partito democratico, che cosa ha detto il voto in Sardegna?
«I progressisti sardi sono stati bravissimi. E Meloni paga, dopo un anno e mezzo, la sua identità di leader brava a fare l’opposizione ma meno a governare. È il limite delle destre populiste, che quando governano mostrano le loro contraddizioni».
Che sarebbero?
«Bè, ho visto il comizio di Cagliari, tutto contro il centrosinistra: è un elemento di debolezza perché il consenso chi governa lo dovrebbe avere per quello che fa non perché fa l’opposizione all’opposizione».
E per il centrosinistra cosa vuol dire la vittoria di Todde?
«Una cosa che ho sempre pensato: che, specie nei sistemi a turno unico, uniti si può vincere, divisi si perde di sicuro».
È una formula ripetibile?
«Non servono gli schemini politici, ma radicamento sociale, chiarezza di identità e cultura unitaria. Mi fa piacere che questa considerazione stia diventando patrimonio comune».
Perché finora, salvo alcuni casi specifici, l’alleanza Pd-M5S non è diventata strutturale?
«Devo intanto dare atto a Elly Schlein di aver tenuto la barra dritta, quando da altre parti prevaleva l’illusione che bastasse pensare all’identità di partito rispetto al Paese. Cioè che si pensasse più ad un voto contro il Pd o contro altri che ad un progetto di sviluppo. Non si può fare un’alleanza a tutti i costi, ma a tutti i costi bisogna provarci».
Ma non è che vi alleate soltanto quando il candidato (presidente o altro) è di M5S?
«Non credo sia stato così, ma anche se fosse questa cosa è superata. Quella di Todde era un’ottima candidatura, ma già in Abruzzo c’è quella di Luciano D’Amico, civica, ugualmente ottima, più vicina al Pd che ci consente anche di presentare un’alleanza ancora più larga».
Calenda ieri ha detto: «Mai più da soli alle Regionali». C’è anche lui nel “campo largo”?
«Ripeto, non ci sono schemi a tavolino. Questa è una fase storica nella quale non bisogna alimentare le differenze ma i punti in comune. E sa qual è il motore? L’elettorato. E quello di centrosinistra chiede alla politica di costruire l’alternanza ad un presente dannoso».
Eppure il centrodestra, stando solo ai voti di lista, avrebbe vinto anche in Sardegna. Non è che, alla fine, hanno “solo” sbagliato candidato?
«Il centrodestra fondato da Berlusconi non c’è più, ora ce n’è un altro molto più a destra che fa fatica a ritrovare un’agenda condivisa e anche una solidarietà interna che Berlusconi aveva sempre garantito. Se ricordiamo la scenetta al Quirinale, quando il Cavaliere contava con le dita dietro a Salvini e Meloni significava questo: non vi preoccupate, dietro ci sono io...».
Questo per dire?
«Che il voto in Sardegna è il segno di una crisi politica. Dai banchi dell’opposizione, in Parlamento, lo vedo tutti i giorni. Non sono forze unite da un progetto, c’è una lotta fratricida e di scambio identitario. Basta vedere la vicenda terzo mandato oppure il combinato disposto premierato-autonomia».
Il centrodestra paga anche i manganelli di Pisa?
«Sicuramente c’è stata una presa di coscienza sul bisogno di un’alternativa. E aggiungerei anche la violenza con cui, alla Camera, FdI ha aggredito Conte e Speranza sulla commissione Covid. Una forma di revanscismo che non è da democrazia liberale».
Cosa vi aspettate dalle Europee?
«Che emerga ancora di più quello che già si è visto. Le destre sono maggioranza parlamentare, ma non sono la maggioranza del Paese».
Eppure, anche a sinistra sembra che si calchi di più la mano sulla competizione interna...
«Le forze di opposizione sono diverse, allearsi non significa essere la stessa cosa. La competition, in un sistema di voto proporzionale, è nelle cose, non mi preoccupa. L’importante è che ci sia un vero passo in avanti verso la predisposizione di una proposta unitaria».
Dall’Ucraina al Mes, passando per i migranti, Pd e M5S hanno posizioni diverse, se non inconciliabili. Se mai andaste al governo, come fareste?
«Se non c’è un’alleanza, è normale che i partiti sottolineino di più le questioni identitarie. Il governo Conte II nacque da un accordo parlamentare rispetto ad un’emergenza, ora è tutto diverso. Come ci ricorda Prodi, bisogna partire da idee forti e confrontarsi insieme, strada per strada, con tutto il Paese».
Dopo la Sardegna andrete uniti anche in Piemonte?
«Lo auspico».
Ultima cosa. Lei, nel Lazio, è stato un antesignano dell’alleanza Pd-M5S. C’è più rammarico per la mancata nascita del Conte-ter o per la mancata alleanza alle ultime politiche?
«La politica non si fa con i se o con i rammarichi.

Guardiamo al futuro, imparando dal passato».

Ultimo aggiornamento: 29 Febbraio, 15:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA