«Nonostante il tentativo di farmi dire frasi scomode, ho detto sull’Ucraina e sull’immigrazione illegale esattamente quello che dico pubblicamente». Giorgia Meloni, parlando con i suoi, non sembra particolarmente sconvolta dal caso specifico. Ma conosce bene la pericolosità - altro che scherzo telefonico! - di questo tipo di operazioni russe all’insegna della «dezinformacija» che è la vecchia arma sovietica per disinformare, manipolare, depistare, ricattare gli altri Paesi e per dividerli e fiaccarli. Con la politica neo-imperiale di Putin il vecchio strumento propagandistico ha avuto nuova vita, e l’uso dei social ne ha aggravato la forza di penetrazione. Che dietro a questo agguato ci sia Mosca non pare avere dubbi né la titolare di Palazzo Chigi né chi lavora con lei.
Dietro la «trappola» tesa dagli agit prop mascherati - che già hanno colpito con telefonate fake tra gli altri Merkel, Trump, Johnson, Erdogan, Sanchez e con Christine Lagarde si sono finti Zelensky - ci sarebbe, assicura Giovanbattista Fazzolari, detto «Spugna» perché tutto capta e tutto assorbe ed è notoriamente il fedelissimo sottosegretario meloniano a Palazzo Chigi e anche il responsabile governativo della comunicazione, il nervosismo del Cremlino per come sta procedendo la guerra contro Kiev. «La propaganda russa è disperata per il catastrofico andamento della loro cosiddetta operazione speciale che si è tramutata in una continua sconfitta dell’esercito russo in terra Ucraina». Poi sottolinea Fazzolari: «Giorgia Meloni non cade nella trappola dei propagandisti russi e conferma la linea italiana di sostegno all’Ucraina e di rispetto del diritto internazionale». Ecco, nonostante la «provocazione» il capo del governo italiano non è rimasto impigliato in quella che a Palazzo Chigi viene chiamata «la trama», che significa macchinazione attribuibile anzitutto ai servizi segreti agli ordini del presidente della Federazione russa ed ex funzionario del Kgb. Accuse più mirate e più dettagliate non è il caso di farne, ma «la trama» esiste. E nell’esecutivo, ma anche a livello parlamentare nel centrodestra e nel centrosinistra, il timore che per le elezioni europee del giugno prossimo scattino le ingerenze russe - già alle Politiche del 2022 diverse sono state le denunce in questo senso - esiste eccome, non fa parte di dietrologie e coincide con il terrore che serpeggia a livello Ue dove non è inverosimile che possano essere eletti esponenti di partiti schierati a favore dell’invasione. L’Italia è tra quelle nazioni, citate in uno studio Ue di 74 pagine condotto dalla Direzione generale per le reti di comunicazione, che vive questa situazione: «Durante il primo anno della guerra illegale della Russia in Ucraina, i social media hanno consentito al Cremlino di lanciare una campagna propagandistica e di disinformazione su larga scala contro i Paesi europei».
I PIRATI
Ora siamo alla cornetta telefonica, ma le manine e le manone della «dezinformacjia» agiscono soprattutto sul web. Gli «hacker patriottici» hanno colpito il 22 febbraio i siti di Carabinieri e dei ministeri Esteri e Difesa, firmandosi gruppo NoName 057, dopo la visita di Meloni a Kiev e l’annuncio che l’Italia «fornirà all’Ucraina il sesto pacchetto di assistenza militare». E ancora i pirati informatici russi a marzo hanno bloccato i siti del ministero del Lavoro e del Csm. Ad agosto hanno scagliato la cyberguerra contro sei banche italiane.
Il Dis e l’intelligence italiana hanno più volte gettato l’allarme sugli attacchi informatici destinati a ripetersi. E c’è addirittura chi, sbagliando, ha creduto di vedere la manina di Mosca, dietro la fine governo Draghi. Di certo, una novità apportata da Putin sta nell’invenzione di una vera e propria fabbrica di troll. Ovvero, nel gergo di Internet, utenti anonimi di una comunità virtuale, che intralcia il normale svolgimento di una discussione inviando messaggi provocatori, irritanti o fuori tema. L’Italia è teatro di tutto questo. Informazioni fittizie e ogni altro tipo di azioni di disturbo: questa «la trama». L’attuale ministro Urso, quando era presidente del Copasir, denunciò: «C’è da tempo il rischio di ingerenze straniere nelle democrazie occidentali, dobbiamo aumentare consapevolezza e resilienza». E’ esattamente il mood che, rispetto alla Russia, sta vivendo Meloni in queste ore e che continuerà a preoccuparla anche in seguito.