I «traditori di Forza Italia», Carfagna e Gelmini, si sono «venduti» al Pd e Calenda li ha portati nelle fauci dei nemici storici.
Silvio Berlusconi prova a minimizzare a sua volta. Ieri, appena gli hanno dato la notizia delle nozze tra centro e sinistra, ha esclamato mentre registrava uno degli ultimi 20 video propagandistico-elettorali che sta per mandare sui social: «Tanto con Calenda non si sa mai, e appena perdono le elezioni si dividono e riprendono a litigare». Spiega il Cav: «Calenda si è accorto che il suo partito non supera il 3 per cento e ha cercato riparo dove poteva trovarlo, ma tanto tra due mesi oltre che dei nostri che ci hanno tradito andando di là, ci dimenticheremo anche di lui».
Ma intanto, viene meno il tentativo della Meloni di personalizzare a due la campagna elettorale: io contro Letta, Enrico contro di me. Il one to one, che piaceva tanto anche al leader del Nazareno, in modo da semplificare lo scontro e da sollecitare il voto utile, ora Letta imprevedibilmente lo abbandona e con il tandem dem-azionista - già soprannominato la Smart di Enrico e Carlo - si sente più forte di fronte a Giorgia. E lei un po’ spiazzata. Ma va all’attacco: «L’alleanza Pd-Azione fa chiarezza sulle forze in campo alle prossime elezioni. A misurarsi con il centrodestra e FdI ci sarà la solita sinistra. Il Pd, la sinistra estrema e Azione, la costola del Pd presieduta dall’europarlamentare eletto nel Pd, Calenda. Finisce la storiella di Azione partito moderato, alternativo alla sinistra tutta tasse, assistenzialismo e nemica del ceto produttivo». E Franceschini stuzzica Giorgia: «Vedo che la Meloni si è molto innervosita per questo accordo e ha buone ragioni perché ora la partita per vincere si è completamente aperta».
La strategia della destra sarà da subito quella di dipingere Calenda come una sorta di Fratoianni mascherato da centrista, come l’estrema finzione dei post-comunisti che si danno una maschera liberale per attirare gli italiani sprovveduti ma tanto questi non ci cascano. Calderoli, che è super-esperto di queste materie, avverte i colleghi del centrodestra impauriti per l’accordo: «Guardate che con Calenda la sinistra può strappare al Senato non più di quattro collegi uninominali in più. Non mi sembra un dramma». A Montecitorio, però, la coppia Calenda-Pd agli avversari potrebbe sottrarre 12 collegi uninominali. In totale, tra le due Camere, il nuovo accordo varrebbe 16 collegi e non è tanto ma neppure poco e insomma la partita si farà più complicata per le destre. Nel frattempo, ieri doveva esserci la riunione del centrodestra sulla spartizione dei collegi ma dopo un primo abbozzo di trattativa, per approfondire meglio quali novità la cosa comporta, il summit è stato aggiornato a oggi.
IL MAPPAZZONE
Un segno di debolezza e di furberia, agli occhi di Meloni e Salvini, è che Letta e Calenda come da patto appena sottoscritto non correranno nei collegi uninominali: «Hanno paura di fare flop nel gradimento degli italiani, la loro è soltanto un’operazione politicistica e di Palazzo». Che poi è quello che pensa fuori dal centrodestra Renzi, delusissimo per la non rottura Letta-Calenda, e che dice il centrista Mastella: «Dal millepiedi al bipide, dall’alleanza arcobaleno a quella giallorossa, con queste premesse credo sia difficile e complicato per Letta e Calenda aspirare al governo del Paese».
«L’accozzaglia» (il primo a definirla così è il berlusconiano Giorgio Mulè) è l’immagine anti lettian-calendista che gli avversari usano ora come tormentone elettorale. Insieme a qulla coniata da Deborah Bergamini: «Quella non è un’alleanza politica, è un mappazzone». Mentre la Ronzulli torna sulla sua metafora: «La storiella tra i due adolescenti si è diventata un flirt estivo ma è senza prospettiva». Questo si vedrà.