Uno spettatore. O poco più. Nella complessa partita per l’autonomia chiesta da Veneto e Lombardia, il ministero dell’Economia sarà, nella sostanza, tagliato fuori. Eppure al tavolo del negoziato tra Stato e Regioni si discuterà di come “appaltare” pezzi di tasse come l’Irpef e l’Iva ai governatori che chiedono di gestire ben 23 delle competenze che oggi sono esercitate dal governo centrale.
Autonomia, troppi i costi occulti. Colpo di freno sulla legge quadro
Per finanziare le intese, allora, lo Stato potrebbe assegnare una parte dell’Iva maturata nel territorio. Diciamo, solo per fare un esempio, il 5 per cento. Ma cosa succede se dopo un anno il gettito Iva aumenta e, per esempio, invece di incassare 10 miliardi se ne incassano dodici? A chi vanno i due miliardi in più, allo Stato o alla Regione? È, al momento, uno dei punti irrisolti dell’autonomia, perché lasciare questi fondi alla Regione significherebbe in qualche modo far entrare dalla finestra il concetto del “residuo fiscale”, ossia trattenere sul territorio una parte del gettito che invece dovrebbe essere versato allo Stato.
Per evitare che questo potesse accadere, la bozza Gelmini chiamava a vigilare il ministero dell’Economia e l’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Authority di controllo sui conti pubblici riconosciuta dall’Europa. Nella nuova bozza trasmessa a Palazzo Chigi e alla Conferenza delle Regioni, il principio del monitoraggio annuale resta. Ma la vigilanza viene sottratta al Tesoro e all’Upb per essere assegnata alla «Commissione paritetica» Stato-Regioni. Di che si tratta? Di un pugno di tecnici che, in pratica, deciderà su tutte le questioni più delicate dell’autonomia: dai soldi ai dipendenti da trasferire.
LA COMPOSIZIONE
La composizione di questa Commissione è rimandata alle intese. E qui bisogna fare un altro passo indietro, al 2019. La vecchia bozza di intesa del Veneto, per esempio, prevedeva che questo organismo fosse composto da 9 membri di nomina governativa e 9 scelti dalla Regione. E i ministeri? Chiamati solo a “collaborare”.
Nella nuova legge Quadro sull’autonomia, il Tesoro entra in scena solo una volta: prima che Regione e governo (tramite il ministero degli Affari Regionali) inizino il negoziato. Il suo compito è solo quello di dare un parere entro 30 giorni all’atto di iniziativa della Regione che dà il via alle trattative. Ma c’è anche un’altra differenza rilevante tra la bozza Gelmini dell’autonomia e quella nuova. Nella prima, quando si spiegava in che modo si sarebbe potuto finanziare il trasferimento alle Regioni, c’era un riferimento anche ai «tributi propri». Le Regioni insomma, potrebbero finanziare almeno in parte le intese anche con tasse locali e non soltanto chiedendo allo stato un pezzo dell’Irpef o dell’Iva oggi incassata dal governo centrale. Un riferimento invece cancellato dalla nuova legge Quadro inviata a Palazzo Chigi.