Nel 1995, all’alba della Seconda Repubblica e nel cinquantesimo della Liberazione, uscì per Baldini&Castoldi un libro intervista di Pasquale Chessa a Renzo De Felice. Contiene questo passaggio: "Le contrapposte vulgate, resistenziale e neofascista, hanno fino a oggi impedito, per la loro natura ontologicamente ideologica, l’analisi della evoluzione dello stato d’animo”. E hanno impedito - va aggiunto - di mettere storicamente nella giusta luce questo passaggio cruciale della storia italiana. Siamo ancora lì: litigare senza costrutto, politicizzare male un fatto fondamentale per capire chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare. La vulgata resistenziale, spiegava De Felice, aveva fatto del residuale movimento partigiano un fenomeno di massa, utile a legittimare la nuova democrazia come riscatto nazionale dal fascismo e la compatibilità della sinistra comunista con la democrazia, e la vulgata neofascista tendeva a sottolineare le contraddizioni dell’epica resistenziale e a rileggere (addirittura in modi contrapposti dai reduci) l’esperienza della Repubblica di Salò per ricondurre la destra, anche la più estrema, a una verginità perlomeno ideale, che le consentisse il reintegro nell’arco costituzionale. Ancora De Felice: “La Resistenza è stato un grande evento storico. Nessun revisionismo riuscirà mai a negarlo". E nessuna forzatura ideologica, o uso politico della sinistra contro al destra, riuscirà a non banalizzarlo. E comunque, Meloni da Palazzo Chigi fa sapere ai suoi: “Celebriamo questa ricorrenza come sempre e evitiamo ogni polemica”.
Ma purtroppo non è facile per una festa divisiva e certe uscite alla La Russa - dicono in Fratelli d’Italia - non aiutano. Eppure in una delle tesi del congresso di Fiuggi di Alleanza nazionale c’era un discorso chiaro secondo cui “l’antifascismo fu un momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato". Si poteva dirlo meglio? Difficile. Ma la questione che poteva essere chiusa lì non è chiusa affatto, purtroppo. E la festa divisiva è rimasta divisiva. Lungo tutta la Seconda Repubblica, il 25 Aprile è insomma rimasto un affare privato della sinistra, e in questi giorni è stato ricordato il trattamento cui furono sottoposti Umberto Bossi o il padre di Letizia Moratti (un partigiano!) quando si azzardarono a mettere il naso nelle piazze della celebrazione, e Gianni Pilo spin doctor azzurrissimo il 25 Aprile 1995 venne accerchiato, insultato, preso a sputi in faccia.