Baby Gang e Simba, trapper condannati dopo la sparatoria. «Foto con la vittima per impressionare una ragazza»

I giudici, che hanno riconosciuto tutte le imputazioni, dalla rapina ai danni dei due, «il fatto più grave», fino alla rissa, alle lesioni gravi e alla detenzione di arma clandestina

Venerdì 19 Gennaio 2024
Baby Gang e Simba, trapper condannati dopo la sparatoria. «Foto con la vittima per impressionare una ragazza»

I trapper Mohamed Lamine Saida, detto Simba La Rue, e Zaccaria Mouhib, ossia Baby Gang sono stati condannati, tra gli altri, rispettivamente a 6 anni e 4 mesi e a 5 anni e 2 mesi. Come «arcaici cacciatori si facevano ritrarre accanto a prede animali esanimi». È così che il Tribunale di Milano descrive, nelle motivazioni del verdetto, l'atteggiamento e le condotte dei noti trapper e dei giovani della loro crew condannati a metà novembre nel processo con rito abbreviato con al centro la sparatoria, avvenuta nella notte tra il 2 e il 3 luglio 2022 in via di Tocqueville, vicino a corso Como, zona della movida milanese, in cui rimasero feriti due senegalesi, gambizzati a colpi di pistola.

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Le motivazioni della sentenza

Uno del gruppo, Andrea Rusta (condannato a 4 anni e 2 mesi), si legge, si è poi «vantato della violenza sprigionata» quella notte «addirittura documentando orgogliosamente con video e foto la vittima ferita per impressionare la ragazza con cui stava uscendo».

I capi di imputazione

I giudici, che hanno riconosciuto tutte le imputazioni, dalla rapina ai danni dei due, «il fatto più grave», fino alla rissa, alle lesioni gravi e alla detenzione di arma clandestina, mettono in luce nelle motivazioni la «spiccata pericolosità sociale» degli imputati (otto in totale) e la loro «consuetudine alla violenza e alla sopraffazione e umiliazione» degli altri.

Simba La Rue, ad esempio, è «animato da una violenza cieca e incontrollata».

Tra l'altro, i giudici criticano anche il basso risarcimento offerto alle vittime, sostenuto, tra l'altro, «dalla società facente capo» a Baby Gang e trattato, dunque, come se fosse una «spesa di rappresentanza da portare a bilancio dell'etichetta musicale» e ciò malgrado i loro «ingaggi professionali elevati».

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