«La violenza verbale frutto delle paure nel lockdown»

Giovedì 6 Agosto 2020
L'ESPERTA
TRIESTE Consulente di comunicazione, formatrice, ideatrice di Parole O_Stili, progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza nelle parole nato a Trieste nel 2017 e che vuole favorire comportamenti rispettosi e civili, in particolare sul web, declinando progetti in diversi ambiti, dalla scuola al lavoro, dallo sport alla pubblica amministrazione. A Rosy Russo abbiamo chiesto di commentare i recenti episodi di violenza verbale registrati sui social in Friuli Venezia Giulia, partendo dal caso del responsabile della Protezione civile di Grado, Giuliano Felluga, finito alla ribalta per alcuni commenti choc sugli immigrati.
«Non sono una psicologa - premette Rosy Russo - ma queste sono conseguenze anche del lockdown, dal quale ne siamo usciti tutti molto fragili: abbiamo provato incertezze economiche, sul futuro, sulla salute, sulla nostra libertà di movimento. Sentimenti di paura che si tende a sfogare con rabbia e farlo verso chi è più debole o diverso da noi è molto più facile. Credo che questa tendenza proseguirà a lungo».
Come mai? «È una reazione emotiva, di pancia, alla paura. Sono madre di quattro figli: i ragazzi sono stati a lungo chiusi in casa, la scuola non è stata all'altezza ed esprimono rabbia. Così anche gli adulti».
Anche persone all'apparenza per bene, dagli adolescenti agli adulti, sono protagoniste di eccessi verbali violenti che un tempo non erano ammessi. Cosa è cambiato? «Ci si dimentica che le parole hanno conseguenze, noi con Parole O_Stili lavoriamo da tempo sul tema. Si tende ormai a perdere il senso della misura e a fare, sui social ma non solo, affermazioni eccessive, salvo poi accorgersi delle loro conseguenze. C'è ignoranza, non lo dico con cattiveria, ma è diffusa una mancanza di educazione anche nel modo di comunicare».
Le parole, in fondo, sono abiti che indossiamo nella comunità. «Quello che diciamo ci rappresenta, parla di noi come persona, chi siamo, i nostri valori. Ad esempio nella politica c'è uno stile che non valorizza le parole date e che rappresentano i politici e le istituzioni. Non si sta dando un buon esempio per le nuove generazioni: quando andiamo nelle scuole, specie nelle superiori, i giovani chiedono perché non spieghiamo queste cose ai politici e dobbiamo dare loro ragione».
Quali sono le soluzioni? «Sui social siamo neopatentati alla guida di una Ferrari. Noi stiamo lavorando con gli adulti attraverso aziende, anche importanti, con percorsi formazione e progetti: la cosa bella è che quando un adulto riesce a comprendere la questione, cambia anche l'atteggiamento. Noi non parliamo ai dipendenti, ma alle persone che sono sui social, che sono genitori, hanno figli e anche lavorano in un'azienda. Lo stesso facciamo nel mondo dello sport o con le pubbliche amministrazioni con progetti di diverso genere, dalla cittadinanza digitale alla comunicazione. A Milano abbiamo dedicato una formazione specifica al sindaco Sala e alla sua giunta; ogni assessore si è impegnato a condurre specifici progetti nel proprio ambito; una nuova comunicazione si costruisce un passo per volta».
Nel mentre, gli insulti piovono anche su chi per primo li ha vomitati. Giuliano Felluga dopo aver chiesto scusa su Facebook è stato inondato di offese anche pesanti e ha chiuso il suo profilo. «Gli insulti nascono quando mancano gli strumenti culturali; le persone non sono capaci di argomentare, perché dovrebbero conoscere i temi di cui parlano. Molta gente non riesce a esprimere le proprie paure e opinioni e quindi scatta la generalizzazione dell'insulto. A chi a sua volta viene insultato pesantemente per le sue affermazioni raccomando il silenzio, di lasciare passare il tempo, non seguire quello che viene detto e ricominciare. Se ci si rende conto di aver sbagliato, si deve ripartire come nuova persona. C'è chi non sopporta il peso delle conseguenze, ma bisogna imparare che anche il silenzio comunica. Il silenzio è sottovalutato ma può essere la scelta migliore».
Lorenzo Marchiori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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