Pressing su Matteo: ritiri le dimissioni Lui lo esclude ma scende dall'Aventino

Giovedì 26 Aprile 2018
Pressing su Matteo: ritiri le dimissioni Lui lo esclude ma scende dall'Aventino
IL CASO
ROMA Alzare l'asticella considerando irrinunciabili più della metà dei cento punti del programma, o ribadire un no secco all'alleanza con un partito «gestito da una società privata» e che «ci ha insultato per cinque anni».
LA FESTA
Manca quasi una settimana alla riunione della direzione che si dovrebbe tenere il 2 maggio, ma nel Pd la tensione è già altissima. Il segretario-reggente, Maurizio Martina, ieri è andato più volte davanti le telecamere per cercare di spiegare un'apertura al dialogo con il M5S che iscritti ed elettori sembrano proprio non gradire. La coincidenza con la festa del 25 aprile ha costretto molti parlamentari a tornare nei territori per le cerimonie e l'accoglienza - raccontano un po' tutti - non sarebbe stata delle migliori.
Evocare il ritorno di Matteo Renzi alla segreteria del partito, come ha fatto Antonello Giacomelli chiedendo all'ex segretario di ritirare le dimissioni, assume il tono di una vera e propria minaccia nei confronti dell'attuale reggente e di coloro che spingono per il dialogo con Di Maio. Martina ieri pomeriggio ha chiamato Renzi per capire le sue intenzioni. Malgrado il pressing, «nessun ripensamento» sulla segreteria, gli ha assicurato l'ex premier, ma dura critica al modo attraverso il quale si è accettato il confronto con i 5s proposto dal presidente della Camera Roberto Fico. In sostanza per Renzi occorre assolutamente evitare che il M5S lasci al Pd il cerino di una trattativa che con molta, ma molta, probabilità non andrà da nessuna parte. Questo, sostiene Renzi, non solo per le difficoltà interne al Pd, ma anche per ciò che accadrà nei prossimi giorni nel M5S. «Fassino ha ragione quando dice che non bisogna guardare indietro, ma non possiamo non chiedere al M5S di rivedere il loro giudizio sulle tante cose fatte dai nostri governi», sostiene il sindaco di Pesaro Matteo Ricci.
Jobs act, legge Fornero, Tav, immigrazione, Europa, scuola, diritti civili. Ognuna di queste riforme rappresenta una sorta di sacco di sabbia che dovrebbe comporre la barricata. «In questo modo o ci dicono di no o vinciamo noi perché si rimangiano tutto», sostiene Davide Ermini. «Quando si governa - replica Sandro Gozi - il problema non sono le cose che si intendono fare, ma le emergenze. E in questo caso con noi non ci sono le condizioni minime di coesione». Il timore che la linea Maginot rappresentata dai cento punti di programma possa essere aggirata dai grillini è certezza per il super-europeista Benedetto Della Vedova: «Il M5S è un movimento rivoluzionario maoista. Sono pronti a sostenere tutto e il contrario di tutto per prendere il potere che poi gestirà la Casaleggio&associati con Grillo». «Rischiamo di stringere un accordo che poi loro passeranno sulla piattaforma Rousseau di Casaleggio che la fa bocciare e noi rimaniamo con il cerino in mano», sostiene Michele Anzaldi.
Un fuoco di sbarramento che fa traballare la linea proposta da Martinaanche se il reggente può contare sull'appoggio di Dario Franceschini, Andrea Orlando e Michele Emiliano. Il più convinto della necessità dell'apertura al dialogo resta il ministro dei Beni Culturali. «L'accordo o si fa tutti insieme o non si fa nulla», sostiene un deputato vicino al ministro. Problemi di numeri, certamente, ma anche di tenuta del partito che rischia di implodere e di rendere ancor più complicata l'unica strada che potrebbe rimanere ancora, prima del voto anticipato: il governo del presidente.
L'ALA
E' probabile che prima della riunione della direzione, Renzi trovi il modo di andare in tv a spiegare le sue intenzioni, ma se è rimasto in silenzio sino ad ora significa che non intende stroncare sul nascere il possibile confronto che viene seguito con attenzione dal Quirinale. L'ex segretario ha canali propri dentro il M5S e non sembra troppo preoccupato per un eventuale ritorno al voto in tempi brevi, come pronosticato da Martina, qualora dovesse fallire anche questo tentativo. E' anche vero che per mantenere in vita quest'ultima opzione, è importante anche come i due partiti - in caso di fallimento - usciranno dalla trattativa. La preoccupazione di un ritorno alle urne breve spinge l'ala governista del Pd al dialogo anche se l'area che si riconosce intorno Franceschini ne fa anche una questione strategica sostenendo che con il M5S si possa anche immaginare di ricostruire la sinistra.
Nostalgia della stagione ulivista che per il renziano Ricci non fa i conti con i numeri: «Loro sono il doppio di noi e se qualcuno pensa di poterli gestire, li sottovaluta».
Marco Conti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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