Noi veneziani feriti e traditi: è peggio del 66

Giovedì 14 Novembre 2019
Alberto Toso Fei

E così ieri mattina noi veneziani di nascita, del cuore, dell'anima, poco importa ci siamo svegliati tutti, ammesso che qualcuno sia andato a letto, con un nuovo marchio: quello della paura, del senso di impotenza, della rabbia fine a se stessa, della spossatezza più profonda mai provata nella vita. Feriti come ferita è stata la città, perché è cosa nota che chi è veramente veneziano, a prescindere dal luogo che l'abbia visto nascere, vive in una simbiosi totalizzante con la città.
Feriti e traditi nel nostro essere intimamente anfibi, particolarità che ci differenzia dal resto del mondo e che spesso sottolineiamo con orgoglio e un pizzico di sciovinismo. Qualcuno che cinquant'anni fa aveva venti o trent'anni già se lo portava dentro, quel marchio, e noi nei decenni successivi abbiamo vissuto l'Acqua Granda del 1966 attraverso il racconto e nelle immagini in bianco e nero, illudendoci che fosse una cosa del passato. Ma la natura funziona così: inizi tu a tradirla un po' per volta, contando sul fatto che non se ne accorga, e invece lei ti presenta il conto tutto assieme, senza che tu possa fare o dire nulla, se non leccarti le ferite e contare i danni. Dopo, quando è tardi. (...)
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