LA CELEBRAZIONE
dal nostro inviato
VITTORIO VENETO (TREVISO) «... l'Italia

Venerdì 26 Aprile 2019
LA CELEBRAZIONE
dal nostro inviato
VITTORIO VENETO (TREVISO) «... l'Italia chiamò, sì!». Ma nell'anniversario della Liberazione, è Vittorio Veneto a chiamare: «Benvenuto presidente!», «Bravo presidente!», «Grazie presidente!». E così Sergio Mattarella risponde: con il sorriso ai diecimila assiepati da Serravalle a Ceneda fra le bandierine italiane e i vessilli europei, con il silenzio mentre accarezza i nastri tricolori sulla corona d'alloro deposta dai corazzieri in piazza del Popolo, con lo sguardo puntato sui reperti della Grande Guerra al museo della Battaglia. Ma soprattutto con le parole della cerimonia al teatro Da Ponte, dove in venti minuti spaccati il capo dello Stato dà il senso e la misura di una ricorrenza che per i veneti è orgogliosamente doppia: «Festeggiare il 25 aprile, giorno anche di San Marco, significa celebrare il ritorno dell'Italia alla libertà e alla democrazia, dopo vent'anni di dittatura, di privazione delle libertà fondamentali, di oppressione e di persecuzioni».
LA RICUCITURA
Mattarella torna a Nordest nella giornata che, da 74 anni a questa parte, nella Penisola è immancabilmente segnata dalla lacerazioni. La paziente ricucitura del presidente della Repubblica comincia con l'omaggio alla città della Vittoria: «Sono davvero lieto di essere a Vittorio Veneto, per celebrare qui la festa della Liberazione, in questo luogo simbolo caro all'Italia, che vide i nostri soldati segnare la conclusione vittoriosa della prima guerra mondiale, sancendo così il compimento dell'unità territoriale italiana. Unità territoriale che corrispondeva all'unità morale e spirituale dell'Italia, all'aspirazione a una patria libera e indipendente. Quella stessa aspirazione, dopo poco più di un ventennio, animò i Volontari della libertà, in queste terre generose e martoriate del Veneto, negli aspri combattimenti contro l'oppressione nazifascista, con tutto il suo carico di sangue, lutti e devastazioni. E con pagine straordinarie di sacrificio, eroismo e idealità, che non possono essere rimosse e che vanno ricordate». 
Il monito a non riscrivere la storia, scandito alla vigilia sul Colle, riecheggia anche qui, fra le autorità sedute in platea e i coristi delle due generazioni schierate sul palco. Gli alpini del Col di Lana e i ragazzi dell'Officina Vocale 2.0 intonano l'inno nazionale, la preghiera del partigiano, il tributo alle vittime dei Konzentrationslager e ai caduti sul Monte Pasubio. Una riflessione sul passato che si inquadra eloquentemente nel presente: «La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva».
LA RESISTENZA
Ampio il capitolo dedicato al contesto locale. «Nel tessuto sociale del Veneto, permeato dalle cooperative di braccianti e dalle leghe contadine ricorda Mattarella la Resistenza germogliò dal basso in modo pressoché spontaneo: gruppi di cittadini, spesso guidati dal clero locale, che cercavano di mettere in salvo prigionieri alleati, perseguitati politici, ebrei e chi voleva sfuggire all'arruolamento nell'esercito di Salò o alla deportazione in Germania». Il capo dello Stato ricorda le figure-chiave del Vittoriese, a cominciare da don Galera: «Spicca la personalità di don Giuseppe Faè, parroco di Montaner, vero cappellano dei partigiani. Arrestato insieme a collaboratori e familiari e condannato a morte, scampò alla fucilazione per intervento del vescovo. Ma la sorella Giovanna, deportata in un lager nazista, non fece più ritorno». E poi «Ermenegildo Pedron detto Libero, Attilio Tonon detto Bianco e il giovane sottotenente degli alpini Giobatta Bitto detto Pagnoca, che agirono soprattutto nella zona del Cansiglio». Ma nella memoria d'Italia e del suo presidente c'è anche il Grappa, con «la terribile impiccagione di 31 giovani agli alberi del corso centrale di Bassano», orrore che indusse la giovane Tina Anselmi a diventare la staffetta partigiana Gabriella. «Il bilancio dei rastrellamenti osserva Mattarella pesò molto sulla Resistenza veneta: in pochi giorni vennero impiccati 171 combattenti per la libertà, 603 vennero fucilati, 804 deportati, oltre tremila fatti prigionieri e centinaia di case vennero bruciate. Ma nella primavera del 1945, rafforzate da nuovi giovani venuti a irrobustire le loro file e dagli aiuti alleati, le formazioni partigiane venete riusciranno a infliggere nuovi, decisivi colpi alle forze tedesche, fino alla Liberazione. In alcuni casi, come in quello di Vittorio Veneto, l'esercito tedesco negoziò direttamente la resa con i capi partigiani».
L'INSEGNAMENTO
Fondamentale fu il contributo del mondo della cultura e dell'istruzione, rammenta al riguardo l'inquilino del Quirinale: «L'Università di Padova, unico caso tra gli atenei italiani, fu insignito della medaglia d'oro al valore della Resistenza. Ricordo l'appello, di grande suggestione e di altissimo valore morale, che il grande latinista Concetto Marchesi, rettore dell'università padovana, rivolse ai suoi studenti in piena occupazione nazista, invitandoli alla rivolta». L'eredità della lotta di Liberazione va dunque ben oltre il 1943-1945: «Oggi come allora, c'è bisogno di donne e uomini liberi e fieri che non chinino la testa di fronte a chi, con la violenza, con il terrorismo, con il fanatismo religioso, vorrebbe farci tornare a epoche oscure, imponendoci un destino di asservimento, di terrore e di odio».
Un insegnamento che Mattarella vuole portare nella quotidianità, a costo di allungare di mezz'ora i tempi previsti dal cerimoniale e di far spostare le transenne predisposte dall'imponente dispositivo di sicurezza. Il presidente abbraccia sessanta sindaci che in una lettera gli confidano «la pesante condizione di sofferenza in cui versano gli enti locali», stringe centinaia di mani dicendo a tutti e a ciascuno «auguri». Poi nell'albo d'oro di Vittorio Veneto, che gli viene portato all'esposizione del Centenario, l'ospite d'onore firma una dedica che segna definitivamente la rappacificazione dopo lo strappo sul 4 Novembre: «Questo museo ricorda le sofferenze e gli eroismi della Grande Guerra la cui conclusione è legata a questa città». E alla fine, quando il sindaco Roberto Tonon gli dona le foto di suo padre Bernardo nella visita cittadina da ministro, il capo dello Stato un po' si commuove: «La ringrazio, è un magnifico ricordo, mi fa davvero molto piacere».
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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