Il caso curdi e gli strani intrecci tra Usa, Russia e Turchia

Martedì 15 Ottobre 2019
Marco Ventura

Si ridisegna rapidamente il quadro del Medio Oriente da una parte con l'avanzata turca nel Rojava, la regione finora controllata dalle milizie curde nel Nord-Est della Siria, dall'altra con quella (non contrastata dai curdi che lottano ormai per la sopravvivenza) dell'esercito siriano di Assad che ieri sera sarebbe entrato a Manbij, e col disimpegno dei marines in una gimkana concordata via telefono tra gli Stati maggiori della Difesa russo, turco e americano per non restare intrappolati nei combattimenti.
Sullo sfondo, le altisonanti dichiarazioni dell'Unione europea che in ordine sparso sta bloccando le future forniture di armi ad Ankara (facilmente rimpiazzate dalla Russia che ha già consegnato alla Turchia i suoi missili S-400). All'origine dei nuovi sviluppi starebbe il patto tra il russo Putin e il turco Erdogan per la spartizione della Siria, con il risultato anzitutto del ritiro americano, militare e peggio politico e morale, dai suoi capisaldi a protezione dell'YPG, la forza curdo-siriana che sognava l'indipendenza di uno Stato curdo ritagliato col sangue nel confronto con il Califfato. E che ora deve invece lottare per non sparire, e sperare in un'autonomia sotto l'ombrello di Damasco/Assad.
«Liberiamoci di Trump», potrebbe essere il titolo di accordi maturati in questi mesi tra Mosca e Ankara, ma con la complicità dello stesso presidente USA (...)
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