LA SENTENZA
VENEZIA Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale

Domenica 23 Febbraio 2020
LA SENTENZA
VENEZIA Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate sul Piano Casa, in riferimento alla norma che consente la deroga del 40% in altezza. L'ha stabilito la Consulta, con una sentenza depositata venerdì, relativa ad una peculiare vicenda trevigiana ma molto attesa anche nel resto del Veneto, per le sue possibili ripercussioni nel settore edilizio: sotto la lente era infatti finita la presunta invasione, da parte della Regione, delle prerogative statali nella materia concorrente del governo del territorio. Dunque la legge, approvata nel 2009 e corretta nel 2013, potrà continuare a disciplinare gli interventi per i quali è stata presentata entro il 31 marzo 2019 la segnalazione certificata di inizio lavori o la richiesta del permesso di costruire.
LA CONTESA
Al centro della contesa c'era il caso della torre di via Romanina a Castelfranco Veneto. Si tratta di un immobile residenziale degli anni 50, di cui la società Antares aveva progettatola demolizione e la riedificazione, per ricavarne un condominio di quattro piani. Nel frangente il committente aveva fruito della disposizione del Piano Casa che ammette «gli ampliamenti e le ricostruzioni di edifici esistenti», anche in deroga alla legislazione vigente, «sino ad un massimo del 40 per cento dell'altezza dell'edificio esistente». In origine il fabbricato era alto 7,14 metri, ma dopo i lavori era arrivato a quota 13,75, determinando il ricorso di Veronica Pavan, comproprietaria di una palazzina confinante. Com'era stato possibile? Il bonus del 40% avrebbe permesso un aumento di 2,86 metri, così da portare l'altezza complessiva a 10. Secondo l'interpretazione fornita dal Comune, però, non era stato preso in considerazione l'edificio interessato dal cantiere, bensì quello più elevato della zona. Questo metodo di calcolo era stato censurato dal Tribunale amministrativo regionale, che nel 2017 aveva ordinato al municipio di «adottare i necessari provvedimenti di ripristino riguardo il rispetto dell'altezza dell'edificio».
I DUBBI
Quel pronunciamento era tuttavia stato impugnato in secondo grado. Così nel 2019 il Consiglio di Stato aveva sospeso il giudizio, davanti ai dubbi di costituzionalità portati all'attenzione della Consulta. I giudici amministrativi di appello avevano osservato che «gli spazi di derogabilità appaiono ammissibili, in capo al legislatore regionale, nei limiti dettati dal legislatore statale, dotato di competenza in tema appunto di principi fondamentali in materia di governo del territorio», mentre nel caso specifico «il legislatore regionale appare aver oltrepassato detti limiti, nella parte in cui consente le indicate deroghe al di fuori dell'ammesso ambito di definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali», arrivando a consentire «anche interventi diretti a singoli edifici».
IL DILEMMA
Dopo aver dichiarato inammissibili gli interventi di Anci (Comuni) e Ance (costruttori) del Veneto, «in quanto soggetti estranei al giudizio principale e privi di un interesse qualificato», la Corte Costituzionale ha rilevato che la questione è stata mal posta. Al di là degli aspetti formali, comunque, ciò che probabilmente interessa di più agli addetti ai lavori è quanto scrive la Consulta a proposito del calcolo del 40%. Cosa deve intendersi per edificio esistente: quello interessato dai lavori o quello più grande in zona? Il dilemma «ha trovato una soluzione» nella sentenza del Tar, secondo cui «la percentuale di aumento dell'altezza doveva calcolarsi sullo stesso edificio oggetto di ampliamento, e non sull'edificio circostante più alto, come invece ritenuto dal Comune che aveva autorizzato l'intervento». Quindi è su questo verdetto che dovrà focalizzarsi il Consiglio di Stato, senza più dubitare della costituzionalità del Piano Casa.
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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