Augusto Martelli è morto ieri a 74 anni dopo lunga malattia. Musicista, compositore,

Martedì 4 Novembre 2014
Augusto Martelli è morto ieri a 74 anni dopo lunga malattia. Musicista, compositore, arrangiatore, produttore cinematografico la sua figura è legata alla tv del varietà e alle canzoni del periodo d'oro di Mina. Figlio d'arte, era nato a Genova nel 1940 entrando negli ani Sessanta come musicista arrangiatore alla casa discografica Ri-fi. Si ritrovò così a collaborare con Mina per la quale compose e arrangiò diverse canzoni come "So che non è così", "Tu farai", "Ero io, eri tu, era ieri", "Una mezza dozzina di rose" e a diventarne il compagno di vita dopo la fine del contrastato rapporto fra la cantante e l'attore Corrado Pani.
Il boom dello spaghetti western, dei musicarelli e del cinema erotico italiano lo coinvolse in varie colonne sonore, fino al successo del film "Il dio serpente" di Piero Vivarelli, con Nadia Cassini, e del tema "Djamballà", che firmò ma che Dario Baldan Bembo rivendicò a lungo come suo. Alla fine compose una dozzina di musiche per opere cinematografiche, ma la sua carriera ebbe nuova svolta quando Silvio Berlusconi ne fece di fatto il musicista di riferimento di Canale 5. Dal 1981 in poi Martelli inventò stacchi musicali, jingle, compose sigle per cartoni animati, per programmi tv, telefilm e serie televisive, da "Ok il prezzo è giusto" a "Casa Vianello", "Telemike". Riarrangiò per Cristina d'Avena "La canzone dei puffi" su testo della veneziana Alessandra Valeri Manera, e si occupò anche dello Zecchino d'oro, arrangiando molte canzoni, scrivendo una Missa Antoniana per il coro di bambini diretto da Mariele Ventre e vincendo anche l'edizione 1995 con "Il sole verrà" nel 1995.
La sua carriera e la sua vita ebbero una svolta negativa nel 2001 quando si trovò coinvolto in un'inchiesta della procura di Milano. Il suo computer fu sequestrato e vi furono trovate immagini pedopornografiche scaricate da vari siti internet. Pur professandosi sempre innocente, Martelli, padre di cinque figli, fu condannato in primo grado e nel 2003, sentenza confermata dalla Cassazione nel 2007.
La sua tesi («Io i pedofili li combatto e proprio per questo sono finito in questa storia: ho cercato di seguire l' esempio di don Di Noto e ho fatto indagini usando la mia carta di credito. Collaboravo con i carabinieri: lo scopo era quello di farsi accalappiare da quelli che fanno offerte sui siti», spiegò, ma i carabinieri smentirono ogni collaborazione) non fu accolta e la Cassazione ritenne che il collegarsi a siti a pagamento per vedere o scaricare tale materiale fosse già in sé reato.
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