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(...) professore di storia e geografia, assurto al ruolo

Mercoledì 21 Ottobre 2020
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(...) professore di storia e geografia, assurto al ruolo di eroe repubblicano in ragione della sua morte violenta, ma in realtà simbolo e concreta manifestazione del quotidiano senso del dovere di tanti suoi colleghi. Chi glielo ha fatto fare a Paty di correre il rischio di tenere una lezione di laicità sul campo, che sapeva benissimo gli avrebbe procurato quantomeno più di qualche grattacapo con i barbuti di ogni fede, con i cantori dell'autocensura nel nome dei valori non contrattabili, con i pavidi che sempre pensano sia meglio non immischiarsi, neppure quando in gioco è la nostra libertà, e soprattutto quella dei più vulnerabili, dei più esposti? Probabilmente non pensava che stesse mettendo a rischio addirittura la propria vita (o magari ne era consapevole, chissà). Ma certo doveva aver ben presente che rischio rappresentasse l'esercizio del libero pensiero in una società come la nostra, sempre più bigotta e conformista, sottomessa a chiunque pretenda il suo diritto a non essere oggetto di critica, ironia e persino scherno. Ma il professore ha dimostrato di ritenere che la scuola è innanzitutto il luogo in cui si apprende non il rispetto ossequioso per questa o quella tradizione ma la libertà di pensiero, il diritto di parola, il confronto tra le idee e delle idee: da quelle sublimi a quelle triviali. È nella scuola, nelle aule, tra gli studenti, che si forniscono gli strumenti affinché ciascuno sia libero di farsi le proprie opinioni: su tutto, senza esclusione di alcun campo, alcun oggetto, alcuna fede. E, allora, in questo senso, la vicenda tragica e nobile di Paty insegna qualcos'altro anche a noi. Che chiudere le scuole è un delitto contro le giovani generazioni e contro i valori della nostra Costituzione repubblicana. Che il solo pensarlo figuriamoci l'attuarlo - è un atto irresponsabile. Perché è nella scuola che si iniziano a strappare i deboli alla radicalizzazione e alla camorra, tanto per capirci: piaccia o meno, la lotta contro l'egemonia della cultura della violenza e della sopraffazione parte da lì, dai banchi di scuola. I banchi, appunto. Quelli con le rotelle e non, per i quali sono stati buttati al vento quantità gigantesche di risorse finanziarie e di tempo e che rappresentano, né più ne meno dei monopattini, la classica manifestazione di insipienza della nostra classe politica, al di là degli schieramenti di appartenenza. Il governo Conte ha lottato strenuamente per opporsi all'idea strampalata della chiusura della scuola come soluzione al riesplodere della pandemia. Ma era quella della falegnameria 4.0 la risposta adeguata? O quelle risorse non avrebbero dovuto invece essere investite nel potenziamento della rete dei trasporti? Non è forse quello il focolaio principale e ben difficilmente inquadrabile della ripresa del virus, persino più dei bar della movida? Forse tra una settimana o due ci verrà detto che sospendere le lezioni in presenza (orribile espressione) è il sacrificio necessario per arrestare o rallentare il ritmo della diffusione della pandemia. Ma dovremmo almeno essere consapevoli che questo arresterà anche il ritmo dell'integrazione civile di tutti i ragazzi e le ragazze meno fortunati, più fragili ed esposti a tutto ciò che insieme al loro futuro brucia il futuro dell'intera società.
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