Rigoglio intervista Spelacchio: «La Roma che avrei voluto»

Giovedì 21 Dicembre 2017 di Mario Ajello
Rigoglio intervista Spelacchio: «La Roma che avrei voluto»

Rigoglio, il lussureggiante albero di Natale che sta a San Pietro, preso da pietà e da sete di verità, e sottraendosi per qualche minuto all’ammirazione da cui è sommerso, ha deciso di rivolgere alcune domande a Spelacchio. Il cui spirito ormai è volato in Paradiso, dopo la brutta vicenda che lo ha portato alla morte. Rigoglio, come tutti, vuole appurare dalla (non più viva) voce dello sfortunato collega che cosa sia davvero successo a lui e alla città che lo ha maltrattato. Il frutto di questa conversazione tra due abeti è una riflessione di Spelacchio su che cosa è diventata Roma oggi. Il Messaggero è entrato in possesso di questa intervista ed è in grado di anticiparla, rinnovando naturalmente le condoglianze all’intervistato.

RIGOGLIO: Da albero ad albero, come la devo chiamare: dottor Spelacchio, signor Spelacchio, ragionier Spelacchio? 
SPELACCHIO: «No, ragioniere no, la prego. Non sono mica Fantozzi!».

R: Un po’ lo è sembrato, quando era quaggiù a Roma. 
S: «Ora sto in Paradiso, e nell’aldilà si sta meglio. A Roma non sono stato trattato bene».

R: Lo so, amico amico. E vorrei dirti - diamoci del tu, come fra colleghi - che sono imbarazzato: a me tanti omaggi e a te tante ingiurie. Ho sofferto per come ti hanno trattato. Che cosa ricordi della breve vita romana?
S: «Ero un bel fusto e mi hanno fatto diventare un brutto anatroccolo. Pensavo di trovare a Roma il caldo e invece nel viaggio dal Trentino mi hanno fatto pre-morire di freddo e di inedia, poi è arrivata la mazzata finale. Abbandonato in mezzo a Piazza Venezia come uno stoccafisso. Avessi almeno visto un giardiniere che veniva a chiedermi come stavo, o un infermiere comunale che mi venisse a diagnosticare l’anoressia... Come dicono a Roma, nessuno me s’è filato. A parte te, perché sentivo il tuo tacito affetto da Oltretevere, qualche pietoso cittadino e i patiti dell’estetica del brutto che si facevano i selfie davanti a me. Ma è modo questo di comportarsi?».

R: E ora come si sta lassù, nel Paradiso degli alberi dove prima o poi arriverò pure io, anche se al momento scoppio di salute? 
S: «Mi sento ancora un po’ depresso, ma me la cavo molto meglio di prima. Sono passato a miglior vita, no? Anche se mi fanno male le braccia che non ho più».

R: Intendi i rami? 
S: «Sì, ma andiamo al punto. Qui, nel giardino dell’Eden, devo fare un sacco di esercizi fisici per riprendere la forma e non ho molto tempo da perdere con i problemi dei romani». 

R: Problemi loro? Il problema è tuo.
S: «Eh no, in tutto il mondo - come avrai letto oggi anche sul Guardian - si parla male di Roma, mica di me. Ero arrivato dalla Val di Fiemme molto gagliardo, come dicono i romani, e mi hanno ridotto a zombie. E io che ho sempre pensato che Roma fosse la città accogliente per eccellenza, il luogo maestoso che tutti vorrebbero raggiungere per sentirsi più forti in una capitale fortissima e ammirata da tutti...».

R: Ti sei dovuto ricredere, caro Spelacchio? 
S: «Non voglio dire che io fossi chissà quale eccellenza, e infatti quando mi hanno venduto hanno fatto vedere agli acquirenti del Comune non la foto mia ma quella di un mio simile più aitante. Come si fa con le false foto che si usano nei matrimoni per corrispondenza. Non sai quanto mi sono divertito appena arrivato in Paradiso quando, a questo proposito, alcuni angeli mi hanno fatto vedere il film con Alberto Sordi e Claudia Cardinale: “Bello, onesto, emigrato in Australia sposerebbe compaesana illibata”».

R: Oltre che Spelacchio sei è stato anche chiamato Racchio?
S: «Non lo so e ti prego di non interrompere il mio ragionamento. Volevo dire che questa storia dovrebbe insegnare ai romani una cosa: hanno eccellenze molto migliori di me, che pure in origine me la cavavo, e consiglio loro di esserne orgogliosi e di trattarle meglio. Sennò, come sta accadendo in questi giorni, li prendono in giro anche in Ghana».

R: Anche tu hai letto, come noi vivi, quell’agenzia di stampa africana che dice che Roma è alla rovina? 
S: «Purtroppo l’ho letta e non mi ha fatto piacere essere additato a simbolo dello sfascio capitolino. Io sono affezionato, nonostante tutto alla Capitale, ma laggiù devono capire che detengono un tesoro e non possono maltrattarlo. Sennò, li ricoverano - a me neanche un letto d’ospedale è stato concesso! - per autolesionismo e per oltraggio alla storia». 

R: Scusa Spelacchio, ma adesso ti sei messo a fare il filosofo?
S: «Di filosofi, e anche di amministratori coscienziosi, avrebbero bisogno nella città che mi ha male accolto».

R: Hai visto che la Raggi ha annunciato che non si ricandida?
S: «Chi?». 

R: Virginia.
S: «Ah, vabbè».

R: Spelacchio, te lo dico io che sono polacco: ora non metterti a fare il nordico con la puzza sotto il naso. 
S: «Naso? Mi è stato tolto anche quello. Ne avevo uno in ogni ramo e sono rimasto praticamente senza rami. Peggio di un rudere del Piranesi. Almeno quegli antichi resti un po’ di erbaccia sulla cima riuscivano a conservarla, io neanche quella. Mi avevano destinato a simboleggiare la sobrietà, ma di sobrietà si muore». 

R: Dimmi la verità, come ti sei sentito a fare la parte dello Spelacchio a poca distanza da me, lussureggiante a San Pietro al punto che mi hanno soprannominato Rigoglio?
S: «Avrò tanti difetti, ma l’invidia non mi appartiene. E neanche la retorica del tipo: vedo la santità del Cupolone, e so’ più vivo e so’ più bono...». (Spelacchio comincia a cantare la canzone di Antonello Venditti).

R: Quindi? 
S: «Mi limito a dire che quando le cose sono fatte bene, e a Roma nel mio caso non è stato così, se ne giovano i vegetali e gli umani». 

R: Tu - come diceva un vecchio poeta comunista di cui mi hanno parlato anche se io odio i comunisti e che si chiamava Pietro Ingrao e considerava politicamente scorretto chiamare piante le piante e animali gli animali - eri un “vivente non umano”?
S: «Lo fui».

R: Lo sai, vogliono farti i funerali di Stato il 7 gennaio? 
S: «Non li accetto. Sarebbe un’ipocrisia. Mi basta ascoltare da quassù quelle canzoncine romanesche che mi vengono dedicate con molta tenerezza popolare». (e riprende a cantare: “E mentre suscitavi riso e ilarità / te ne sei annato ‘n silenzio e co’ dignità”). 

R: In Paradiso è arrivata la notizia che ci sarà un’indagine per accertare le cause della tua morte?
S: «Ho sentito. Ma non vedo dove sia il mistero».

R: Qual è la tua versione? 
S: «Che nun se po’ ffà così. E lo dico in romanesco in modo che capiscano meglio. Nel mio piccolo ero un pezzo pregiato, come le ho già detto, e mi hanno rovinato. Roma è l’eccellenza incarnata e molti di loro - parlo degli amministratori - se ne infischiano. Non vorranno mica fare la mia fine?».

R: Non atteggiarti troppo vittima, però. 
S: «Prova tu, che stai ricevendo ben altro trattamento, ad essere sedotto e abbandonato. Quando mi fu comunicato che sarei andato a Roma, non mi pareva vero. Pensai, come un grande poeta latino: che cosa migliore dell’Urbe? Ho dovuto ricredermi. Dalla mia aiuola a Piazza Venezia guardavo il Campidoglio, e nessuno mi restituiva lo sguardo. Adesso posso fare io una domanda?».

R: Prego. 
S: «Ma a Roma le cose le fanno sempre così, con imperizia e indifferenza?».

R: A volte sì, a volte no, mi sembra di capire. Ma io sono forestiero. Ma dimmi: costiero. Lassù in Paradiso stai parlando male di Roma? 
S: «Non sono vendicativo, anche se credo che la prossima volta, quando nei boschi trentini si dovrà scegliere quale albero inviare a Roma per Natale, fingeranno tutti di essere malati. Per non doversi ammalare davvero a Piazza Venezia e soffrire davanti agli occhi del mondo». 

R: E se davvero volessero seppellirti al Pantheon, insieme o al posto di Vittorio Emanuele III? 
S: «Ti dò un’anticipazione: accetterei». 

R: Ti sei proprio montato la testa. 
S: «Ma accetterei a un patto».

R: Metti pure le condizioni, tu che da vivo parevi a tutti noi così umile e modesto? 
S: «Il patto che è l’area del Pantheon venga sottratta al degrado. Liberata da quei pagliacci travestiti da antichi romani, dal turismo straccione. Sul numero chiuso, decidano le autorità». 

R: Quindi saresti pronto per il grande show: Spelacchio affianco a Raffaello e a Vittorio Emanuele II? 
S: «Essere seppellito al Pantheon sarebbe un grande risarcimento.

Non per me, ma per i romani. Nel senso che la mia triste vicenda spero abbia insegnato loro qualcosa. Ad avere cura della città e a pretendere che ce l’abbia chi la guida. Se riusciranno a fare questo, Roma diventerà un Paradiso. E io da quassù sarei dispostissimo a tornare nella capitale. Già immagino il nuovo soprannome e non mi dispiace: il Rieccolo». 

Ultimo aggiornamento: 22 Dicembre, 08:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA