Uccise la ex incinta: 30 anni La mamma esulta in aula

Mercoledì 21 Novembre 2018
Uccise la ex incinta: 30 anni La mamma esulta in aula
LA SENTENZA
VENEZIA Nell'aula bunker ormai deserta, una donna alza ripetutamente le braccia al cielo. Piange, ride, grida: «Trent'anni al criminale assassino... Sono contenta... Grazie, grazie, grazie». Quattro minuti prima la Corte d'Assise d'Appello di Venezia, presieduta da Alessandro Michele Apostoli Cappello, ha emesso il suo verdetto: conferma della sentenza di primo grado nei confronti di Mihail Savciuc, il giovane moldavo che la sera del 19 marzo 2017 a Vittorio Veneto colpì con un sasso e strangolò con le proprie mani l'ex fidanzata Irina Bacal, 20enne sua connazionale e incinta al sesto mese del loro figlio.
L'UDIENZA
Il processo di secondo grado inizia con mezz'ora di ritardo, per attendere l'arrivo di Savciuc dal carcere di Trento, mani in tasca e capelli alla moda. Due ore di dibattimento, un'ora e un quarto di camera di consiglio. Il sostituto procuratore generale Paola Cameran rimarca «i motivi abbietti, l'approfittamento di circostanze come la notte, la posizione isolata, lo stato di gravidanza della vittima che poi è stato il movente profondo dell'azione: liberarsi del bambino». L'avvocato Giorgio Pietramala, difensore dell'imputato, chiede invece la concessione delle attenuanti generiche e cita «fatti molto mediatici ben più gravi che sono stati sanzionati con la stessa pena, trent'anni, come il caso di Isabella Noventa di cui non è stato neanche ritrovato il corpo e quello di Lucio Niero (il killer di Jennifer Zacconi, sepolta viva incinta, ndr.) che ha avuto modalità ben più terribili di queste». L'avvocato Andrea Piccoli, che assiste la famiglia della vittima con la collaborazione dello studio 3A, si commuove ricordando le foto dell'autopsia di Irina e del feto, «perché parlano più di mille parole».
NIENTE PREMEDITAZIONE
Nessuno parla invece più della premeditazione, malgrado la sezione investigativa del commissariato di Conegliano avesse ricostruito le ultime ricerche del 19enne sul web poche ore prima del delitto: per esempio come uccidere a mani nude, o come cancellare i dati dal telefono. Esclusa dal gup Piera De Stefani, la circostanza non è più oggetto di discussione. La contesa è tutta sul bilanciamento tra attenuanti e aggravanti, che un anno fa aveva portato la Procura di Treviso a chiedere l'ergastolo, poi ridotto a trent'anni per il ricorso al rito abbreviato. Il copione si ripete a Mestre: stessa pena e stesse provvisionali provvisoriamente esecutive (ma difficilmente incassabili, secondo la parte civile), 80.000 euro per la sorella Cristina e 200.000 per la mamma Galia. È lei, madre di una ragazza assassinata e nonna di un bimbo mai nato, a cedere alla tensione con un'esultanza intrattenibile dopo venti mesi di dolore dignitoso e composto: «Giustizia è fatta», dice pensando che domenica sarà la Giornata contro la violenza sulle donne.
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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