IL REPORTAGE
VENEZIA «Maledetta quella volta che sono venuta ad abitare

Sabato 16 Novembre 2019
IL REPORTAGE
VENEZIA «Maledetta quella volta che sono venuta ad abitare a Venezia». Quarto giorno di passione. Otto del mattino. Fra tre ore e trentacinque venti minuti l'acqua raggiungerà i 154 centimetri, la settima marea più alta di sempre. Ma i veneziani ancora non lo sanno. Erano andati a letto la sera prima con la previsione del Centro maree che dava un'acqua alta a un metro e mezzo, si sono svegliati con l'aggiornamento: fino a dieci centimetri in più. Per il quarto giorno consecutivo, dopo la punta di 187 di martedì sera, si prospettano disagi. Danni. Neanche più arrabbiature. È più che altro un senso di impotenza. E tanta stanchezza. Perché le botteghe resteranno chiuse un altro giorno. I bar non apriranno i battenti. I titolari resteranno dietro il bancone solo per controllare che le pompe buttino fuori l'acqua. E le commesse scuoteranno la testa a chi, finito sott'acqua, pietirà di comprare un paio di calzetti per mettere all'asciutto almeno i piedi: «Mi spiace, siamo inagibili». E poi, quando l'acqua finalmente comincerà a defluire e i piani terra di case e uffici e botteghe si svuoteranno, allora bisognerà ricominciare a pulire. Acqua e detersivo, acqua e disinfettante, acqua e olio di gomito. È così che in bacino Orseolo, in quello che i turisti chiamano il parcheggio delle gondole, con l'acqua che già arriva al ginocchio, una donna sbotta: «Maledetta quella volta che sono venuta ad abitare qui». Chissà cosa direbbe se abitasse a Pellestrina, dove da giorni non arrivano i rifornimenti e si trova neanche più il latte.
INSOFFERENZA
Ore 8.29, piazza San Marco è già un lago. Gli addetti di Veritas si preparano a togliere le passerelle pedonali. Ancora qualche minuto e poi diventerebbero inutilizzabili, galleggerebbero davanti alla basilica. Serrande abbassate, qualche turista, fotografi con i cavalletti sotto le Procuratie. L'acqua alta, per chi la immortala da lontano, ha sempre il suo perché. Non per i veneziani. Che ormai non sopportano più niente. C'è chi si arrabbia perché, nel disastro di questi giorni, la troupe del film di Stefano Accorsi e Valeria Golino ha continuato a girare. «Sciacalli», è l'accusa che arriva via social, con annesse lamentele perché la produzione avrebbe anche fatto «onde». Finisce che il sindaco Luigi Brugnaro manderà tutti via, nonostante le autorizzazioni regolari.
La marea esaspera gli animi. Anche nei confronti dei politici.
PASSERELLE
Un anno fa, per la tempesta Vaia, il governatore del Veneto Luca Zaia portò in montagna un ministro dietro l'altro, tutte le più alte cariche dello Stato. Perfino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sorvolò in elicottero i boschi senza più alberi. A Venezia, al quarto giorno dopo la seconda Aqua Granda di sempre, c'è chi si è stancato delle visite. E si è premurato di urlarlo al senatore Matteo Salvini appena arrivato sul Molo, tra Todaro e San Marco: «Vergognati, a casa». Concetto ribadito di lì a poco da un altro passante: «Ma cosa fate qua oggi?». Chi si lamenta sostiene che sono solo passerelle, dice che è colpa del circo mediatico e che i politici si fanno vedere con gli stivaloni all'inguine per finire nelle foto e poi raccogliere i like sui social. «Che bisogno c'è di attraversare la piazza?». Poi c'è chi ringrazia e corre incontro al senatore della Lega: «Venga a vedere il mio negozio, era di mio nonno, guardi in che stati siamo, per fortuna siete qua, ditelo a Roma che abbiamo bisogno di aiuto».
ASPETTANDO IL MOSE
Calle dei Fabbri, la macelleria di Luca Caroldi è contemporaneamente aperta e chiusa. Aperta per buttar fuori l'acqua, chiusa perché anche oggi non si vende niente. «Cosa bisogna fare? Al punto in cui siamo va completato il Mose, martedì sera dovevano accenderlo, poteva essere una prova generale. Ma non hanno avuto il coraggio». «Che finiscano queste dighe e speriamo che funzionino, ormai non ci resta altro», dice Stefano Ghezzo dall'interno del suo laboratorio orafo, preoccupato per alcuni macchinari finiti sotto la marea dei 187 centimetri. «Com'è oggi? È come se piovesse sul bagnato, dobbiamo ancora capire che tipo di danni abbiamo avuto. Ci hanno detto di fare foto e documentare le riparazioni. Ma vallo a trovare, oggi, un elettricista».
DESERTO
Venezia, nel quarto giorno di passione, sembra una città finta. Come Cinecittà. Come gli studi cinematografi dove si giravano i film western e c'erano le sagome del Saloon e dell'ufficio dello Sceriffo. È tutto incredibilmente vuoto. Perfino piazza San Marco, per motivi di sicurezza, non è più accessibile. «Non si può, attraversarla è pericoloso», avvertono le vigilesse al Sotoportego dei Dai. Il deserto. Chiuse le boutique delle grandi firme. Chiuse le botteghe del tutto a 10 euro dei cinesi. Chiusi i bar. Da Rosa Salva, in Calle Fiubera, si pasteggia a pasta e fagioli con venti centimetri di acqua sul pavimento. Tommaso Gambirasi, dell'Ottica Ducale, non ha dubbi: «È il clima, tutti ce l'hanno con la povera Greta, ma sono le mutazioni climatiche la causa di tutto quanto sta succedendo. Ma la sa che l'Indonesia vuole trasferire la sua capitale perché Giacarta, lì dove si trova, sta letteralmente affondando?».
Il picco è passato. 154 centimetri alle 11.35. «Non ci sono stati particolari problemi», dice Nicola Ligi, referente del distretto della Protezione civile mentre con i colleghi gira per le calli. Però l'acqua non defluisce. Non sale più. Ma neanche scende. E come se non bastasse, comincia a piovere. Acqua da sotto, acqua da sopra. Acqua salata, salsa. Che si mangia i preziosi marmi e i mosaici della basilica, come ribadisce il procuratore di San Marco Pierpaolo Campostrini, che rilancia il progetto per mettere in sicurezza la cripta con finestre a tenuta stagna, rivedere lo scarico delle acque piovane e realizzare un sistema di barriere.
GLI ANGELI
Fuori, intanto, fa acqua anche la solidarietà. «Signore, può prestarci un carretto?». Vittorio Da Mosto si avvicina a un negoziante. Studente universitario, è uno degli Angeli dell'Acqua Alta cui il patriarca Francesco Moraglia ha inviato una lettera di gratitudine per il lavoro di aiuto a Venezia. Qui, in campo Santi Apostoli, sotto il diluvio, stanno raccogliendo i sacchi di immondizia per portarli al barcone di Veritas dietro l'angolo. È per questo che chiedono in prestito un carretto. E ogni tanto si sentono rispondere no: «Tocca a Veritas, io non vi presto niente, vengano loro a tirare su le scoasse».
Alda Vanzan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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