Clan ndranghetista nel Veronese: chiesto il processo per 46 imputati

Sabato 8 Maggio 2021
IL PROCESSO
VENEZIA L'udienza preliminare di ieri mattina nell'aula bunker di Mestre si è chiusa con i pm veneziani Lucia D'Alessandro e Stefano Buccini a chiedere il processo per 46 imputati accusati, a vario titolo, di aver messo in piedi o fatto parte del clan ndranghetista di Antonio Giardino, attivo nel Veronese tra società cartiere, intrallazzi con la pubblica amministrazione, riciclaggio e violenze.
Associazione per delinquere di stampo mafioso, droga, estorsione, riciclaggio ed evasioni fiscali, le principali accuse mosse dalla procura lagunare ai componenti del clan che secondo gli inquirenti è legato alla cosca della 'ndrangheta calabrese Arena-Nicoscia, di Isola Capo Rizzuto.
L'inchiesta era venuta a galla con una ventina di arresti del giugno 2020 e aveva visto il coinvolgimento - come indagato accusato di peculato - dell'ex sindaco di Verona, Flavio Tosi, la cui posizione era stata stralciata.
Secondo l'Antimafia veneziana, il clan capeggiato da Antonio Giardino, detto Totureddu, si è insediato nell'area veronese e per molti anni ha gestito una serie di affari criminali riciclando i proventi di un lucroso traffico di sostanze stupefacenti e trovando terreno fertile per fare il bello e il cattivo tempo in attività economiche d'interesse (come le sale da gioco), ricorrendo a intimidazioni per far capire chi comanda. Dopo gli arresti alcuni degli indagati hanno collaborato, aiutato gli investigatore a fare luce su molti episodi.
La procura accusa di associazione mafiosa anche un veronese, Nicola Toffanin, detto l'avvocato, che secondo gli inquirenti avrebbe fatto da collegamento tra gli esponenti della cosca e il mondo istituzionale locale. Gli vengono contestate, tra le altre, turbativa d'asta e corruzione nei confronti di Andrea Miglioranzi ed Ennio Cozzolotto, rispettivamente presidente e condirettore di Amia: secondo la procura, avrebbero agevolato un'azienda concorrente in un bando per i servizi antincendio. Ad altri due veronesi, Ezio Anselmi e Stefano Vinerbini viene contestato di aver preso parte all'organizzazione intestandosi in maniera fittizia alcuni beni e società riconducibili ad uno dei presunti organizzatori del gruppo, Domenico Mercurio.
Nicola Munaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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