«Redditi bassissimi a Venezia? Lavoratori stagionali, part-time o in nero»

L'analisi del presidente dell'Ordine dei consulenti del Lavoro Luca Scalabrin sui dati della Fondazione Pellicani

Giovedì 4 Gennaio 2024
«Redditi bassissimi a Venezia? Lavoratori stagionali, part-time o in nero»

VENEZIA - I dati sui redditi medi elaborati dalla Fondazione Pellicani, in base ai quali il 41 per cento dei lavoratori denuncerebbero meno di 15 mila euro lordi all'anno non convincono il presidente regionale dei consulenti del Lavoro Luca Scalabrin.
«I contratti medi, anche delle categorie più povere, non scendono sotto i 1200 euro lordi al mese, che in un anno arrivano di sicuro, con la 13.

mensilità, a superare i 15.000. Ma si tratta spesso di giovani, poi bisogna considerare gli scatti di anzianità e altri emolumenti. Dalla mia esperienza è più facile pensare a una media di almeno circa 20mila all'anno, soprattutto nel caso dei lavoratori dipendenti. Una lettura possibile di questo fenomeno è che trattandosi di lavoratori del turismo, in un territorio come quello veneziano, si tratti di lavoratori part-time o stagionali. Quindi lavorano solo in una parte dell'anno. La terza ipotesi è che ci sia un sommerso non quantificato. Si stima che in Italia siano 13 milioni gli inoccupati. Una fetta di popolazione che sfugge a qualsiasi categorizzazione, che non lavora e non cerca lavoro. E non si capisce di che cosa viva».


Il mercato del lavoro è in costante evoluzione, un tempo erano i giovani a rivolgersi alle aziende. Oggi sono le aziende che cercano i giovani e spesso non li trovano o non trovano i profili richiesti per un'assunzione secondo i canoni standard. Perchè?
«Perchè nel frattempo è cambiato il mondo e le imprese, spesso, non hanno saputo adeguarsi e sono rimaste ancorate ai vecchi schemi di produzione. La nostra, quella dei consulenti del lavoro, è un'attività fondamentale e delicata: siamo a servizio sia delle aziende che dei lavoratori. L'obiettivo in questo mandato è far diventare Venezia un faro per tutta la provincia e la regione. Quello del lavoro è un settore sempre più complicato, in continua evoluzione e molto fluido, e la normativa italiana, spesso, invece di semplificare, complica le situazioni. E soprattutto non incide quasi mai in forma strutturale, ma a spot: spesso le misure durano qualche mese, qualche anno, non di più. Bisogna aggiornarsi per applicarle e poi decadono. Le aziende a volte non sono strutturate per seguire le dinamiche e il nostro obiettivo è lavorare per dare una visione d'insieme, proponendo nuove sfide anche alla politica».


Come è cambiata la situazione del lavoro a Venezia, città turistica per eccellenza?
«Partiamo da un dato demografico, che coinvolge tutta la provincia: il saldo naturale tra nascite e decessi, una decina di anni fa, era intorno alle 1000 unità. Nel 2021 sono nati 5261 bambini e sono morte 10.306 persone. Un saldo di oltre 5000 unità, cinque volte quello di dieci anni prima. C'è poco da fare: ci sono meno persone, meno lavoratori, e i lavoratori servono. Per questo ora sono le aziende a cercarli e spesso non li trovano. Quindi si rivolgono all'estero, e bisogna saper guardare con cautela ai flussi migratori».


Ma non c'è anche un problema di stipendi troppo bassi, per cui i giovani non vogliono lavorare?
«I fattori di questa crisi sono molteplici. Il mercato, soprattutto a Venezia, è in una bolla: ad esempio se vuoi un bravo pizzaiolo lo devi pagare. E c'è il rischio che i locali si contendano i migliori. In centro storico le pretese sono anche di 5000 euro al mese per chi sa fare il suo mestiere. Il nero? Non del tutto, ma in parte è endemico. Cosa fa il datore di lavoro? Paga 5000 euro netti al lavoratore più i contributi? Insostenibile. Il problema è che siccome i pagamenti tracciabili sono sempre più diffusi, rischia il tracollo. E il mercato in questo modo è drogato. Del resto bisogna pensare che ci sono orari pesanti, lavoro che si intensifica soprattutto nei festivi, una bassa stagione che non c'è più, e spesso la scomodità di raggiungere il centro storico. Ma gli stipendi alti non possono essere la regola per tutti, perchè poi si ripercuotono sui consumatori. E si possono praticare solo a Venezia, non nell'entroterra. Per non parlare di cinesi e bengalesi, che seguono (o non seguono) dinamiche completamente diverse. Eppure ora capita che i cinesi assumano gli italiani, soprattutto nei bar, per una questione di immagine».


Ma è vero che ci sono sempre più stranieri perché gli italiani certi lavori non li vogliono più fare?
«Anche qui ci sono dei miti da sfatare. Nella ristorazione i più richiesti sono gli egiziani, perché sanno stare bene in cucina per un fatto culturale. Gli africani, invece, lo considerano un lavoro da donne, e non lo vogliono fare. Stanno meglio impiegati in altri settori. Ci sono molti lavoratori dell'est che hanno saputo inserirsi in settori abbandonati dai nostri, come l'edilizia. Arrivano dalla fame, hanno voglia di mettersi in gioco, di realizzarsi in un paese diverso. Quello che manca alla maggior parte dei nostri ragazzi, cresciuti nel benessere».

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