Livio Seguso, l'alchimista del vetro al lavoro da 80 anni senza pause

Mercoledì 1 Novembre 2023 di Manuela Lamberti
Livio Seguso premiato da Eligio Paties ai Do Forni con Ermelinda Damiano, il critico d’arte Enzo Di Martino e Giandomenico Romanelli

VENEZIA - Il primo timbro sul libretto del lavoro porta la data del 16 ottobre del 1943. Da allora, Livio Seguso, classe 1930, non ha mai smesso di lavorare.

Figlio e nipote di grandi maestri vetrai, Livio Seguso è un’anomalia nel panorama del vetro artistico di Murano. È stato garzone, maestro, ma anche designer, imprenditore, esperto conoscitore di un’azienda in tutte le sue sfaccettature, tecnico capace di capire le composizioni del vetro e di portarlo fino ai suoi limiti. Per poi abbandonare la tradizione ed entrare nel campo dell’arte contemporanea. 

LA FESTA

Seguso festeggerà sabato 11 novembre, alle ore 11, nel suo atelier, 80 anni consecutivi di lavoro. Con lui il critico Toni Toniato e la dirigente dei Musei Civici Chiara Squarcina. Instancabile, aiutato dalla sua assistente Takako che lo affianca da 24 anni, Livio ha gli occhi vispi e curiosi di un bambino, la mente vivace che lo spinge a concepire continuamente nuove opere d’arte e nuovi progetti. Dopo aver frequentato la Scuola di disegno e avviamento professionale diretta all’epoca da Vittorio Zecchin noto pittore secessionista, all’età di 13 anni entra in vetreria, seguendo il richiamo atavico che il vetro ha su di lui. "Da mio zio Alfredo Barbini ho imparato tutto, non solo era un innovatore, ma aveva una conoscenza illimitata delle miscele, della produzione, della manipolazione del vetro a caldo, nella condotta termica – ricorda – da lui sono stato dal 1943 fino ai miei 28 anni. Era una persona dal temperamento difficile ma era un genio, da lui ho imparato molto». Poco più che 28enne, a Seguso viene affidato più volte il compito di dare vita a una grande vetreria, addirittura con 5 piazze, un progetto che comprende la progettazione e realizzazione in tutti i suoi aspetti che il giovane porta avanti con successo. E poi gli anni del fermento culturale a Venezia, gli aperitivi all’hotel Bel Sito con gli spazialisti veneziani, la conoscenza con Virgilio Guidi, Edmondo Bacci, Luciano Gaspari, Gino Morandis, Riccardo Licata e l’indimenticabile Gianni De Marco, titolare della famosa Galleria Traghetto, personalità che lo influenzano e lo spingono a seguire quella che è la sua pulsione interiore verso la purezza del vetro. In questo contesto, sviluppa sempre più la convinzione di abbandonare definitivamente le tecniche della tradizione muranese e addentrarsi in nuove possibilità espressive.

LA SUBLIMAZIONE DEL VETRO

«La mia idea fissa era quella di portare il vetro alla sublimazione sia nella forma che nella qualità, doveva splendere ed essere considerato non più oggetto ma vera e propria opera scultorea al pari di altri materiali – continua – da quel momento compresi che avrei dovuto conoscerlo molto bene, come si potrebbe fare con una persona, e ho cominciato a riflettere sulle sue capacità, sulle sue possibilità intrinseche. Ho studiato, osservato e ascoltato e ho capito che io dovevo adattarmi alla forma che il vetro stesso mi imponeva e non viceversa, assecondando la forma che lui assumeva nelle sue migliori condizioni termiche e meccaniche».

L’essenza del vetro, l’assenza del suo colore, la geometria, le forme ellittiche, i dischi che si intersecano, le composizioni perfette, dove nulla è fuori posto, l’ingresso della luce, l’armonia del segno. Le opere spazialiste di Livio Seguso comprendono questo. E molto altro. Si incrociano e si fondono con altri materiali: prima l’acciaio, poi il marmo di Carrara e il nero Belgio, il granito e, infine, il legno invecchiato. Sembrano nascere dalla natura, ma sono frutto del suo sentire intimo e tutte trasmettono un’armonia compositiva che non prevede alcun segno di disturbo. «Spesso mi chiedono a quX\ale opera io sia più legato, ma io non porto a compimento un’opera se non la sento dentro di me, quindi io vivo con loro, sono lo specchio di ciò che sono io – commenta – anche se mi sono reso conto, in questi giorni in cui è venuta a mancare la mia amata moglie Francesca, che appena entro nel mio studio al mattino corro a guardare l’ultima opera realizzata, forme che si intersecano e rappresentano le nostre anime».

LE MOSTRE NEL MONDO

Centocinquanta mostre in giro per il mondo, sculture conservate ed esposte in diversi musei nazionali e internazionali, Seguso viene ricordato a Venezia anche per la sua famosa installazione “Vegetazione”, protagonista della Biennale nel 1995, con un canneto composto da 45 elementi in vetro che uscivano dall’acqua della laguna. E poiché la passione verso il bello e la curiosità di scoprire cosa c’è ancora di inespresso non vengono mai a scemare, altri progetti nella sua mente aspettano solo di prendere forma. E come tutte le sue opere che nascono da una tensione emotiva, anche le prossime sculture saranno solo frutto e risultato di una emozione. Perché, come dice Livio, "E' sufficiente che susciti una qualsiasi emozione, non c’è niente da comprendere».
 

Ultimo aggiornamento: 16:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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