Luigino Girotto, 65 anni di barba e capelli: «Nel mio negozio ho acconciato anche Sabrina Salerno e i Simple Minds»

Il decano dei parrucchieri trevigiani iniziò come garzone a 10 anni, poi mezzo secolo fa aprì il suo esercizio in vicolo Avogari, nel cuore cittadino, dove lavora tutt’ora: «Apprendistato e passione restano i caposaldi di questo mestiere»

mercoledì 2 aprile 2025 di Michele Miriade
Luigino Girotto, 65 anni di barba e capelli: «Nel mio negozio ho acconciato anche Sabrina Salerno e i Simple Minds»

TREVISO –  Sessantacinque anni di lavoro come parrucchiere, 50 dei quali in vicolo Avogari nel cuore di Treviso. È la straordinaria avventura professionale del parrucchiere Luigino Girotto che il sindaco Mario Conte, ricevendolo a Ca’ Sugana, ha voluto omaggiare consegnandogli una pergamena. «A dimostrazione della professionalità e della competenza che lo hanno reso un punto di riferimento nell’arte del taglio dei capelli con la sua maestria, maturata fin dall’età di 10 anni, che lo ha portato ad avere riconoscimenti a livello internazionale per l’attenzione al cliente e la capacità di trovare soluzioni personalizzate con tagli e acconciature sempre alla moda al punto da diventare un’eccellenza trevigiana».

Girotto, che ora di anni ne ha 75, ha voluto ricordare il suo percorso, professionale e di vita, dando anche alle stampe una pubblicazione ricca di aneddoti.

Come ha iniziato questo lavoro?

«Mio padre Narciso ha iniziato a lavorare a 8 anni e anch’io ho fatto presto la mia comparsa da garzone in bottega, tra via Cadorna e piazza Vittoria, alla fine degli anni Cinquanta. Era una Treviso emersa dalla distruzione della guerra».

Poi ci fu una prima svolta.

«Nel 1959, quando di fronte alla stazione ferroviaria c’era l’albergo “Al Diurno”, un punto di riferimento per chi arrivava in città, con tutti i servizi di barbiere e parrucchiere, le docce, la sauna, la stireria per gli abiti. Mio padre aveva ottenuto la gestione dal Comune e vi lavorai per una decina d’anni. I clienti erano esigenti, il servizio era diviso tra maschi e femmine, ho imparando in fretta come creare una barba, gli stili di taglio, come impostare un’acconciatura».

Poi cosa succede?

«Siamo nel 1968, l’arrivo della cartolina per il servizio miliare a Milano, che vidi come una pausa lavorativa; una lezione di vita per imparare di più sul mondo. Rientrato a Treviso ripresi in mano forbici e pettine iniziando a girare in via Bafile a Jesolo e poi a Belluno. Con i soldi guadagnati iniziai a sognare di aprire una bottega tutta mia».

Sogno che alla fine si è avverato.

«Già, ed è quello che feci con mio fratello Giovanni (uno dei 7 che fanno i parrucchieri, ndr) aprendo il negozio in borgo Cavour. Da garzone a proprietario: non dimenticherò mai la gioia per l’inaugurazione nel 1970. All’epoca c’era il rito della barba, anche 20 o 30 tagli al giorno. Altri tempi. Poi nel 1974 si presentò un’altra opportunità: andare in vicolo Avogari, nel cuore della città, con affaccio sul Siletto. Ed eccomi qui da mezzo secolo in quella che è diventata la mia casa definitiva, dietro lo stesso bancone ma con la medesima voglia di quando ero ragazzo. E di anni ne sono passati».

Il suo negozio divenne Moda Capelli e sulle sue poltrone si sono sedute generazioni di trevigiani.

«Moda capelli è nato dalla volontà di dare un’impronta di eleganza. All’epoca ho anche fatto parte della Nazionale acconciatori, indossando la giacca azzurra. Un vero orgoglio».

In negozio tanti professionisti ma soprattutto moltissimi artisti.

«Tutti gli attori e cantanti che arrivavano al teatro comunale passavano per le mie mani: ricordo Tony Renis, Glauco Mauri, Sabrina Salerno, James Brown o gruppi stranieri come Simply Red e Simple Minds. Ho lavorato per le selezioni di Miss Italia cogliendo l’ansia delle concorrenti e cercando di non sbagliare mai un’acconciatura. Mi dispiace non avere le foto, all’epoca erano cosa rara e io pensavo più a lavorare che a fotografare gli incontri di lavoro con questi personaggi».

Cambierebbe il suo lavoro con un altro?

«Mai al mondo. Anche quando ripenso agli sforzi, ai momenti critici, non ho dubbi».

Ripensa alla sua lunga vita professionale?

«Dietro il bancone ho visto passare generazioni di clienti e ho visto cambiare la città a una velocità pazzesca. Come il mio mestiere. Una volta la vera scuola di vita era la bottega, l’apprendistato era l’unico modo formativo. Oggi sarebbe improponibile. Eppure credo tuttora che a fianco di un’ottima preparazione occorra sempre un vero e proprio praticantato che trasmetta quei valori simbolici del vero artigiano».

Ma non è ora di staccare la spina?

«Mi ritengo fortunato di aver vissuto un periodo così intenso e mai avrei pensato di trascorrere mezzo secolo nella stessa bottega, ma non è ancora giunto il momento di chiudere. Ai giovani però dico che quando vogliono possono passare a trovarmi, la porta è aperta poiché il futuro appartiene a loro».

Ultimo aggiornamento: 4 aprile, 08:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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