ADRIA (ROVIGO) - Pasquale e Genny, intrappolati nella morsa della burocrazia di palazzo Tassoni, un muro di gomma che per quasi un anno ha negato loro diritti fondamentali come il matrimonio e l'accesso alle cure mediche, hanno vinto la loro battaglia per la dignità.
Gli ostacoli
La loro storia ruotava attorno a un ostacolo apparentemente insormontabile: la mancanza di residenza di Pasquale. Un vuoto amministrativo che, in base al terzo comma dell'art. 19 della legge 833/1978, gli precludeva l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale e, di conseguenza, la possibilità di avere un medico di base proprio nel momento in cui la sua salute peggiorava di giorno in giorno. Pasquale lavorava regolarmente a Padova con un contratto a tempo indeterminato, ma non poteva formalizzare la sua unione con Genny, madre di suo figlio, proprio a causa di questa assenza di residenza. «La residenza - spiegava Genny con amarezza l'anno scorso, sotto Natale - servirebbe per sposarci, avendo un figlio di sei anni, e comporre così una famiglia».
Problema di salute
Attualmente, Genny e il bambino vivono in un appartamento Ater, giudicato troppo piccolo per accogliere stabilmente Pasquale. Ma il problema più urgente era la sua salute. «Quello che è più grave - proseguiva Genny con voce carica di preoccupazione - è che Pasquale, che in questo momento ha bisogno di cure, non avendo residenza, non può accedere al medico di base e tanto meno alle prestazioni sanitarie». La coppia non era rimasta inerte. Oltre venti accessi al Comune di Adria, dall'estate scorsa, non avevano prodotto alcun risultato concreto. «Abbiamo fatto il solco, ma le risposte sono state evasive ed insoddisfacenti» racconta Genny, descrivendo la loro frustrante peregrinazione tra gli uffici. Hanno persino scritto al presidente della Regione, Luca Zaia, la cui segreteria li ha reindirizzati nuovamente al Comune. Dagli incontri con il sindaco, ex segretario generale, assessore alle Politiche sociali e gli assistenti sociali del Comune, non era emersa alcuna soluzione.
«Nessuna umanità»
«Nel frattempo le condizioni di salute del mio compagno sono andate peggiorate ogni giorno. Non ho visto né umanità né buon senso" confidava Genny, esprimendo il loro crescente stato di abbandono. La risposta ufficiale del Comune, basata su interpretazioni restrittive di articoli di legge, ha negato persino la possibilità di iscrivere Pasquale all'anagrafe in "via della Casa comunale", cosa avvenuta solo qualche settimana fa a distanza di mesi, adducendo la mancanza di una "dimora abituale" e definendolo "irreperibile" a seguito di "ripetuti accertamenti". Un ragionamento che Genny descriveva come "il cane che si morde la coda. Senza residenza, Pasquale non poteva accedere ai servizi essenziali. L'impressione è che la vicenda non si concluda qui, è un grido d'allarme che solleva interrogativi sulla rigida applicazione delle norme, affinché casi come questi non si ripetano.