ROVIGO - «Ragazzi siete tutti vaccinati? Allora parlo con voi, altrimenti no». Sceso dall'auto si presenta così Josè Altafini, 83 anni portati alla grande, in una tappa della sua giornata in Polesine. Ieri il campione del mondo con il Brasile nel 1958, 4 scudetti fra Milan e Juve, ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Giacciano con Baruchella. Il paese da dove a fine 1800 è emigrato il nonno.
Cosa ne pensa Josè?
«Non voglio commentare - prova a dribblare con una battuta, come quando era in campo - perché lui è tifoso della mia squadra di San Paolo, il Palmeiras».
Condivide la linea sul Covid di Bolsonaro?
«No, io sono vaccinato e sto aspettando la terza dose. Lui non lo è, ha mantenuto questa fede e anche a una partita non l'hanno fatto entrare allo stadio. Ma non è facile gestire una città di 21 milioni di abitanti con tanti poveri, gente che dorme per strada, non è informata. È vero che è mancato anche il vaccino, ma la vicenda in questa pandemia è più complessa».
Tanti morti però in Brasile.
«Sì, ma anche altrove, spiace dirlo. Bolsonaro non ha colpa di tutto quello che è successo».
Alle celebrazioni per il Mondiale del 1958 lei è stato premiato da un altro presidente, Lula.
«Ha ricordato che di premio vittoria prendevamo 60 euro a partita, altroché adesso. Con Lula il Brasile ha vissuto il più bel periodo. Era la quinta potenza mondiale. I poveri avevano un reddito minimo di sussistenza».
Era povero anche suo nonno Luigi, detto Gigion, quando è partito da Baruchella. Emozionato a essere qui?
«Una bella emozione. Da emigrante al contrario provo amore per il Veneto che mi ha dato le origini. Ho trovato il paese che mi aspettavo, una terra di lavoratori. Ho solo il rammarico di non avere più parenti vivi in Brasile a cui raccontarlo».
Com'è nata la ricerca delle origini?
«Da un'intervista. Dicevo che vorrei le mie ceneri sparse sul Po per fare ritorno in Polesine. Quando morirò, tocco ferro il più tardi possibile, spero che qualcuno lo faccia davvero».
Passiamo al calcio: l'Italia di Mancini campione d'Europa?
«Da un anno dico che ha è squadra fantastica, giovane e in crescita. Sembra l'Italia di Argentina 78 che poi ha vinto il Mondiale nell'82 con Bearzot».
Jorginho, oriundo e azzurro come lei, merita il Pallone d'oro?
«Certo, nessuno ha giocato bene e vinto quanto lui. Se penso che l'hanno dato gente come Papin».
In campionato guidano Milan e Napoli, due delle sue tre squadre.
«Il Napoli è il più forte. Sarà duello con l'Inter per lo scudetto. Il Milan speriamo continui così».
La terza è la Juventus.
«È indietro, non è tagliata fuori, ma sarà dura recuperare, avendo davanti 3-4 squadre».
Il suo gol più bello.
«A Wembley, finale di Coppa dei campioni. Me lo godo ogni volta sulla sigla della Champions».
Il giocatore italiano più forte?
«Rivera e Baggio».
Il più forte al mondo?
«Pelè».
Il film sulla sua vita non fa un bel ritratto di lei.
«Mi ha dato fastidio. Racconta una sacco di balle. Non ho mai conosciuto Pelè prima del Mondiale. Non vivevo in una villa dove veniva a lavorare sua madre. Se fosse stato così avrebbe dovuto portare da mangiare lei, visto quanto eravamo poveri».
Un rammarico?
«Non aver vinto tre Mondiali anch'io. Potevo riuscirci, ma la federazione brasiliana non convocava chi giocava all'estero».
L'allenatore più divertente?
«Pesaola al Napoli. Con lui si rideva sempre. Una volta in tour in Sudamerica ci ha dato libera uscita dopo cena esclamando: multo chi torna a dormire prima delle tre!».
E il paron Rocco.
«Per un'amichevole a Lione, vinta 4-0, i dirigenti francesi sono venuti a prenderci al treno. L'hanno salutato calorosamente: Mon ami, monsieur Rocco. Lui ha risposto: mòna ti, no mòna mi!».