Relitti, sarcofagi e anfore, il mare restituisce la vita dei marinai sulla rotta per Troia

Team italo-greco di archeologi subacquei svela un "cimitero" di navi millenarie nelle acque dell'isola di Lemnos nel Mar Egeo

Martedì 23 Maggio 2023 di Laura Larcan
Relitti, sarcofagi e anfore, il mare restituisce la vita dei marinai sulla rotta per Troia

Un "cimitero" di relitti millenari che testimoniano naufragi e tempeste, carichi di viaggio ancora conservati in frammenti nelle stive, e centinaia di oggetti che echeggiano la vita quotidiana dei marinai che frequentavano la baia quando le loro navi erano ancorate. E ancora millenarie darsene e bacini portuali, scenari di un mondo sommerso che racconta le navigazioni sulla rotta verso Troia tra commerci e imprese di colonizzazione. Sono i tesori “dormienti” incastonati sotto strati di sabbie al largo dell’Isola di Lemnos, gioiello dell’Egeo settentrionale, situata a sud-est della Penisola Calcidica, in prossimità dello stretto dei Dardanelli e delle coste dell’Asia Minore. Isola avvolta dal mito. Le fonti storiche parlano di Lemnos come sede della fucina di Efesto e per aver ospitato Filottete, il leggendario “maestro” degli eroi, dalla tragica sorte: morso da un serpente nel corso del viaggio degli Achei alla volta di Troia, venne lasciato da Ulisse proprio sulla costa per il lezzo della sua piaga.

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È qui che si sta compiendo l’impresa dell’équipe di archeo-sub specializzati della Soprintendenza Nazionale per il patrimonio culturale subacqueo in accordo con la Scuola Archeologica Italiana di Atene, con con la Soprintendenza del patrimonio subacqueo di Atene e la Sovrintendenza alle Antichità di Lesbo. Si tratta della prima campagna di indagini subacquee extra-confine, nel Mediterraneo, guidata da Barbara Davidde, che avrà durata triennale.

L’obiettivo della missione è quello di individuare «siti costieri sommersi e semi sommersi, con particolare riferimento ai resti di eventuali porti e approdi e all’individuazione e allo studio di antichi relitti», spiega Barbara Davidde. Pinne, maschera e muta, ma non solo.

LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELLA RICERCA

Le ricerche avvengono con un sofisticato apparato tecnologico. Dai droni aerei per la documentazione del contesto geomorfologico su ampia scala, al multibeam per i rilievi del fondale marino, alle fotogrammetrie subacquee. Come avvengono le indagini? «Per ciascun sito sommerso individuato - spiega Barbara Davidde -  sono state realizzate indagini strumentali, mappatura geologica e batimorfologica dei fondali, documentazione grafica e fotografica, schedatura archeologica e dello stato di conservazione, rilievo diretto e indiretto, fotogrammetria e ricostruzioni 3D».

Baie, golfi e fondali, le indagini hanno regalato sorprese. In particolare, nelle acque antistanti Poliochni, dove in passato gli archeo-sub avevano messo in luce un insediamento fortificato dell’Età del Bronzo di importanza pari alla vicina Troia, la missione subacquea italo-greca ha individuato i resti del naufragio di una nave oneraria con il suo carico di anfore di età tardo-antica. Altre indagini sono state condotte nei pressi del promontorio dell’antica città di Efestia. Qui gli archeologi e i geologi subacquei hanno documentato una struttura muraria che costituisce una briglia la cui funzione e cronologia è oggetto di studio. Il golfo di Ormos Pourniàs ha restituito, al largo, due differenti accumuli di contenitori da trasporto, ovvero ciò che rimane di due naufragi: a nord un relitto forse ellenistico e a sud un carico con contenitori da trasporto tardoromani.

Ancora, sono inoltre state individuate 4 macro-aree di grande interesse archeologico, «relative - dice Barbara Davidde - a quelli che potrebbero rivelarsi altri naufragi nonché testimonianze sparse sul fondale di manufatti appartenenti alla vita quotidiana dei marinai che frequentavano la baia quando le loro navi erano ancorate alla fonda all’interno della baia. Questi ritrovamenti confermano la frequentazione plurisecolare del golfo di Ormos Pourniàs che giunge quantomeno alla tarda antichità». Presso il promontorio di Trighies, è stato scoperto a pochi metri di profondità ciò che rimane di un relitto con un carico di sarcofagi litici.

«Databili all’epoca imperiale romana - precisa Davidde - sono a vasca rettangolare e a vasca ovale e in alcuni casi hanno subito danneggiamenti a causa del moto ondoso». Complessivamente gli archeologi italiani e greci hanno avviato lo studio e la catalogazione sistematica dei manufatti recuperati. Sono stati campionati 148 oggetti, in prevalenza contenitori da trasporto e ceramica da mensa, databili ad un arco cronologico che va dall’età ellenistica alla tarda antichità. «La missione congiunta – sottolinea Emanuele Papi, direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene - rappresenta la continuità degli studi iniziati un secolo fa, dimostrando come la sinergia scientifica rappresenti la base della ricerca e il fondamento della cultura». «Il contesto storico in cui si sono svolte le ricerche si è rivelato di particolare interesse sia per la lunga storia dell’isola, sia per la continuità abitativa di siti costieri che vedono l’interazione dell’uomo con il mare attraverso i secoli», evidenzia la Barbara Davidde.

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