Ucraina e Russia: ecco come Putin giustifica le sue mire espansionistiche

Le origini dell'impero russo vengono fatte risalire proprio a Kiev

Mercoledì 2 Febbraio 2022 di Anna Guaita
Ucraina e Russia: ecco come Putin giustifica le sue mire espansionistiche

NEW YORK Nell’anno 988 dopo Cristo, il principe Vladimir, che regnava allora sull’Ucraina, la Bielorussia e la Russia, si convertì al cristianesimo e cominciò un’opera di cristianizzazione della popolazione slava del suo impero. In una visione agiografica delle origini dell’impero russo, la città di Kiev riveste dunque un’importanza quasi mitologica. E alcuni analisti sono convinti che questa visione sia pienamente condivisa da Vladimir Putin, che non a caso nel 2008 insistette con l’allora presidente Usa George Bush jr. che l’Ucraina era parte integrante della Russia.

Per chi volesse tentare di capire da dove nascono e su cosa si basino le pretese espansionistiche dell’attuale presidente russo, è bene partire dall’antichità, da quel principe Vladimir, poi dichiarato santo dalla chiesa ortodossa, e dalla città capitale dell’allora «Rus di Kiev». Su queste basi antiche, Putin costruisce una serie di rivendicazioni, alcune delle quali scaturite da affermazioni che effettivamente all’inizio degli anni Novanta vari leader dell’Occidente fecero a Michail Gorbaciov circa l’espansione della Nato. Un passato che si perde nella notte dei tempi, promesse fatte a voce dagli americani in momenti di caos mentre l’Urss cadeva a pezzi, accordi firmati da Mosca in condizioni che oggi Putin giudica quasi ricattatorie, e protocolli ratificati con l’Ucraina e mai mantenuti da entrambe le parti, da questo magma di mezze verità e di nebulosità nascono rivendicazioni che potrebbero portare a una guerra nel cuore dell’Europa.

Ucraina, navi russe davanti a Sicilia e Calabria: ecco cosa può succedere. Il Mediterraneo secondo fronte della crisi

Ucraina, Biden invia altre truppe in Est Europa: 3mila soldati in Polonia, Germania e Romania

IL RUOLO DI KIEV


Dall’attuale capitale dell’Ucraina sono venuti ben tre dei sette segretari del partito comunista sovietico (Nikita Khrushchev, Leonid Brezhnev e Konstantin Chernenko) nonché buona parte dell’elite culturale e politica dell’era sovietica, e dal territorio ucraino proveniva la maggioranza degli uomini delle forze armate. Per i cristiani russi, Kiev è il luogo di nascita dell’impero cristiano ortodosso, e nel 1100 furono i Rus di Kiev a mettere le prime fondamenta di quella che sarebbe diventata Mosca. Nella visione imperiale di Putin, Kiev e il territorio ucraino sono dunque parte inestricabile dell’impero russo. Putin ricorda come fino alla conclusione della Prima Guerra Mondiale il territorio ucraino era diviso a metà fra l’Impero Astro-Ungarico e l’Impero Russo e nella conferenza Nato di Bucharest del 2008 disse a chiare lettere al presidente Bush che l’Ucraina non era un vero Paese. Ma seppur divisa, seppur non Stato, la “Nazione” ucraina esisteva, un po’ come è successo alla nostra penisola, che si è sentita Nazione prima ancora di diventare uno Stato. E già nel 1991 gli ucraini avevano rifiutato l’intepretazione di Putin votando con il 90% dei voti per il divorzio dall’Urss e perchè l’Ucraina diventasse uno Stato indipendente e democratico.

Ucraina, Mosca: «Noi siamo pronti a tutto». Allerta Usa: «Possibile uso forza Russia entro metà febbraio»

PROMESSE


Prima dello scorso Natale, Vladimir Putin ha presentato una serie di richieste alla Nato e agli Usa che gli storici hanno paragonato a “un diktat di carattere bismarckiano”. Putin ha chiesto l’immediata interruzione dell’espansione Nato verso est, la cessazione di ogni collaborazione della Nato con l’Ucraina o altre ex repubbliche sovietiche, e l’uscita delle truppe Nato dai paesi Nato dell’Europa dell’est, oltre al ritiro di tutte le armi tattiche di medio raggio dall’Europa. E ancora una volta ha ripetuto quello che è diventata una sua accusa ricorrente: che l’Ovest è venuto meno alle promesse fatte fra il 1989 e il 1990 all’allora presidente Michail Gorbaciov. Putin ha qui qualche lieve aggancio alla realtà. Come è stato ricostruito da vari storici, effettivamente nel 1990 l’allora segretario di Stato James Baker assicurò Gorbaciov che la Nato non si sarebbe espansa all’est se Mosca avesse dato il via libera alla riunificazione della Germania. Lo stesso cancelliete tedesco Helmut Kohl aggiunse che anzi le truppe Nato non sarebbero state ammesse neanche nei territori tedeschi che erano stati della Germania dell’Est.

Gorbaciov conferma quese promesse nelle sue memorie. Ma c’è un «ma», e cioè che nessuna di quelle promesse venne mai messa per iscritto, perché il presidente Bush senior giudicò che Baker e Kohl si erano spinti troppo in avanti. Nel 1993, in condizioni disperate per la crisi che attanagliava la Russia e bisognoso degli aiuti finanziari dell’ovest, Boris Yeltsin rinunciava a far valere quelle promesse e firmava un documento per Lech Walesa, in cui accettava che la Polonia entrasse nella Nato. Ma se ne pentì, preoccupato che l’avanzata della Nato fosse troppo veloce, e protestò varie volte con lettere dirette al presidente Bill Clinton, il quale spedì il suo vice Al Gore nel dicembre del 1994 al capezzale di Yeltsin in ospedale per convincerlo che la Nato si sarebbe mossa «gradualmente, senza sorprese, in tandem e con la più stretta comprensione possibile fra Usa e Russia». Gore prometteva anche che nessun altro Paese sarebbe entrato nella Nato nel 1995, anno elettorale in Russia. Putin oggi sostiene che l’espansione della Nato non ha rispettato quelle direttive e anzi rappresenta una «minaccia esistenziale» per la Russia e propone un mondo diviso in sfere di influenza, fra Russia, Cina e Stati Uniti.

 



ACCORDI NON MANTENUTI


Nelle sue rivendicazioni, Vladimir Putin legge, stravolgendolo, l’accordo firmato nel 1997 fra Mosca e la Nato. Allora, in un tentativo di riconoscere alla Russia un ruolo in tema di sicurezza euroatlantica, fu firmato l’«Atto Fondatore sulle relazioni reciproche, la cooperazione e la sicurezza», che mirava a creare in Europa «uno spazio comune di sicurezza e stabilità, senza sfere d’influenza», e che prevedeva fra le altre cose una stretta collaborazione sulla battaglia al narcotraffico e al terrorismo. Nell’invadere l’Ucraina e nell’annettersi la Crimea nel 2014, Putin attaccò quell’accordo sostenendo che la Nato lo aveva violato aprendo basi militari nelle ex repubbliche sovietiche. La Nato rispose presentando il documento, nel quale non c’è nessuna simile promessa. Simile protesta Putin la fa sul Protocollo di Minsk, l’accordo firmato fra Russia e Ucraina per il cessate il fuoco dopo l’invasione dle Donbass. Di nuovo, Putin sostiene che la colpa è degli altri, e cioè dell’Ucraina che non avrebbe mantenuto l’impegno a garantire certi margini di autonomia alle regioni di Donetsk e Luhansk di etnia russa. Appena un giorno fa l’ambasciatore russo all’Onu, Vassily Nebenzia, ha accusato: «L’Ucraina non ha fatto un singolo passo per rispettare gli accordi». Nebenzia non ha tutti i torti, ma neanche la Russia ha rispettato nessuno dei 13 punti firmati a Minsk con la sponsorizzazione di Francia e Germania. La Russia di fatto non si riconosce neanche come interlocutore del trattato, che sarebbe a giudizio del Cremlino solo fra Kiev e i ribelli filo-russi, e quindi non si ritiene obbligata a rispettarlo. Così il cruciale punto 10, e cioè il ritiro di tutte le forze armate e militanti dalle regioni di Donetsk e Luhansk, necessario per potervi tenere elezioni pacifiche, non è avvenuto, perché Putin sostiene che quelle forze non sono russe.

Ucraina, no degli Stati Uniti alle richieste del Cremlino: «La difenderemo»

 

Ultimo aggiornamento: 3 Febbraio, 14:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA