Operazione “Prosperity Guardian", l'ex capo di Stato maggiore: «Servono missili a terra. I barchini kamikaze il rischio più grande»

L'intervento dell’ammiraglio Giampaolo Di Paola, ex ministro della Difesa, ex capo di Stato maggiore della Difesa e del Comitato militare Nato

Mercoledì 20 Dicembre 2023 di Marco Ventura
Operazione “Prosperity Guardian", l'ex capo di Stato maggiore: «Servono missili a terra. I barchini kamikaze il rischio maggiore»

«Tecnicamente l’operazione “Prosperity Guardian” è possibile, ma non priva di rischi.

Richiede appoggi missilistici a terra nei paesi vicini e può essere operativa in due settimane, i problemi sono politici. E la minaccia più insidiosa sono i barchini kamikaze», spiega l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, ex ministro della Difesa, ex capo di Stato maggiore della Difesa e del Comitato militare Nato.

Qual è l’importanza strategica dello Stretto di Bab-el-Mandeb tra Yemen e Gibuti, largo 25 chilometri?
«Basta guardare la cartina geografica. Lo Yemen si affaccia sul Mar Rosso nel sud della Penisola arabica. Là ci sono gli Houthi, appoggiati dall’Iran, in lotta contro l’Arabia saudita e per il controllo dello Yemen. Quel tratto di mare è un punto di passaggio obbligato e molto stretto, a meno che le navi non vogliano circumnavigare l’Africa passando per il Capo di Buona Speranza. C’è una differenza di 3500 miglia, che significa più giorni, più consumi e più costi per le navi».

È il tratto che collega l’Oceano Indiano al Mar Rosso, e a nord tramite il Canale di Suez al Mediterraneo. Si può controllarlo?
«Sorvegliarlo è facile, come attaccarlo. Gli Houthi non sono una grande potenza, ma hanno l’appoggio politico e militare di una potenza regionale come l’Iran. Senza, avrebbero difficoltà a interdire il traffico marittimo. È un po’ come lo Stretto di Messina, bisogna passarci, da Scilla o Cariddi bastano pochi mezzi per interdirlo. È un tratto strategico pure per i traffici dall’Oriente e dal Golfo Persico, dove superando lo Stretto di Hormuz si scende lungo la costa meridionale della Penisola arabica per poi risalire. È una delle zone più trafficate. Giocoforza che intervengano paesi interessati alla libertà di navigazione. Operazioni del genere le abbiamo già fatte, una nel Golfo Persico, l’altra al largo della costa somala contro la pirateria. E sono in corso».

Anche Egitto e Arabia Saudita hanno interesse a proteggere le navi?
«Certo, anche perché sono rivali dell’Iran. Ma comprendo che abbiano un problema politico a dover spiegare alle proprie opinioni pubbliche un’azione contro gli Houthi che hanno giustificato gli attacchi come pressione o ritorsione contro Israele per Gaza, in difesa del popolo palestinese. Inoltre, l’Arabia stava negoziando un accordo con gli Houthi per la stabilità regionale, visto che confina con lo Yemen per centinaia di chilometri».

Quanto ci vorrà perché l’operazione sia operativa?
«Gli americani le unità le hanno già, i francesi ne hanno una, se l’Italia ha deciso e parte, in un paio di settimane può essere in zona. Bisogna avere un dispositivo di unità navali capaci di intercettare e contrastare attacchi. La zona di mare è abbastanza limitata. La costa yemenita e quella gibutina sono molto vicine, il dispositivo dovrebbe essere “complementato” da sistemi missilistici a terra. Paesi come Egitto e Eritrea devono essere disposti a collaborare. Gibuti, dove si trova anche una nostra base, è un punto chiave. L’impegno potrebbe essere di lunga durata, è ragionevole che gli americani cerchino di allargare la presenza internazionale».

L’Italia manderà una fregata, la Virgilio Fasan. Altri si sono tirati fuori?
«Quelle fregate sono tra le unità più moderne della Marina europea, non solo italiana, con buona capacità di difesa antiaerea e antimissile, anche anti-drone. Una scelta coerente e naturale. Si è tirata fuori la Russia, che ha interesse all’instabilità mondiale per distrarre da quello che sta facendo in Ucraina. I cinesi hanno dispositivi nel mare della Somalia, però non si metteranno mai sotto comando americano. Possono condurre una missione parallela coordinata con quella internazionale».

Quali sono i rischi?
«Quello di beccarsi un missile antinave che finisce contro una unità militare, o che un barchino kamikaze esca di notte dai porti sulla costa occidentale dello Yemen sul Mar Rosso. I rischi si possono minimizzare ma ci sono. Gli americani vorrebbero poter condurre azioni non solo difensive, ma neutralizzare le fonti di appoggio a terra yemenite, come a Al Hudaydah. Ma vi sarebbero implicazioni politiche per alcuni Stati».

Ultimo aggiornamento: 09:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA