Navalny, l'ex dissidente a cui scriveva dal carcere: «Mi diceva che era pronto a morire»

"Una di quelle persone che portano al crollo delle tirannie"

Mercoledì 21 Febbraio 2024 di Raffaele Genah
Navalny, l'ex dissidente a cui scriveva dal carcere: «Mi diceva che era pronto a morire»

Un viaggio doloroso in un passato che ritorna. O che forse non se n’è mai completamente andato. Quando Anatoly Sharansky, uno dei dissidenti più noti nell’Unione sovietica tra gli anni ’70 e ’80 - riceve una lettera che arriva da molto lontano non riesce a trattenere la propria emozione. A scrivergli è Alexey Navalny, l’uomo che ha sfidato Putin e il suo regime al costo della vita.

I due non si conoscono, ma dentro la prigione Navalny ha letto i libri di Sharansky, detenuto per nove anni in un gulag e poi tornato in libertà poco prima del crollo del Muro di Berlino in uno scambio di prigionieri con 2 spie sovietiche. 

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Cosa ha pensato aprendo quella busta?
«È stato come ricevere una lettera dalla propria “alma mater”, dall’università in cui ci si è formati, dalla prigione dove ho trascorso molti anni della mia vita. Come un vecchio professore che legge uno scritto di un giovane studente. Non conoscevo Navalny di persona, ma ho sempre seguito attentamente la sua straordinaria leadership e l’ancor più straordinario modo in un cui ha smascherato la vera natura di questo regime. Mi ha colpito molto il suo coraggio nel tornare in Russia. Lui mi ha scritto la sua lettera in qualità di lettore dei miei libri, io gli ho detto che gli stavo rispondendo in qualità di scrittore e di ammiratore». 
Due storie, le vostre, che hanno molto in comune, compresa una breve permanenza a distanza di 40 anni nella stessa prigione, ma con un finale diverso. 
«C’è assoluta somiglianza fra le prigioni putiniane e i gulag sovietici. Navalny mi scriveva che quello che lui stava sperimentando adesso gli ricordava molto quello che leggeva nei miei libri. E diceva di essere ottimista. Non si trattava della sua personale sopravvivenza, lui era pronto a morire. Ma lui parlava del fatto che così come l’Unione sovietica era crollata, così poteva crollare anche il regime di Putin. Questo era l’ottimismo che diceva di cogliere da miei libri».
Perché Navalny rappresentava un pericolo per Putin? 
«Per due motivi. Primo, perché ha smascherato la natura corrotta del regime più di ogni altra persona al mondo, ha pubblicato tutte le ricerche che lui e il suo team hanno fatto sui gerarchi che governano il paese e non secondo ideologia o per il loro personale tornaconto. Secondo, era un esempio per centinaia di milioni di russi di come si possa essere liberi anche sotto questo regime. Per ogni dittatura i dissidenti che vivono come persone libere sono una minaccia». 
Pensa che i metodi usati da Putin per eliminare gli oppositori possano bloccare ogni possibile forma di dissidenza?
«La dissidenza non sarà fermata dai metodi che sta usando Putin. In passato ci sono state repressioni perfino più dure e la dissidenza non si è fermata. Io penso anzi che l’esempio di Navalny, sia in vita che con la sua morte, incoraggerà molte persone a seguire la sua strada. È quello che ha scritto a me nella sua lettera».
Che tipo di relazione si è stabilita tra voi?
«Non c’è stata nessuna altra relazione fra noi a parte le lettere, era già abbastanza difficile comunicare così attraverso gli avvocati. Il suo avvocato ora è a sua volta in prigione. Ma la sensazione è che ci si capisse immediatamente. Sono davvero poche le persone che ti possono capire in situazioni del genere». 
Cosa le resta di quegli scambi?
«Penso che Navalny sia stata una persona estremamente coraggiosa. Secondo a nessuno di quelli che ho conosciuto nella mia vita. Libero fino alla fine della sua vita. Una di quelle persone che portano al crollo delle tirannie. Passerà alla storia. Non c’è dubbio».
Che cosa ha provato quando ha appreso della sua morte?
«Per me è stato tragico, sono stato male. Mi sembrava di aver perso una persona molto cara e molto vicina. Quando qualcuno di 47 anni muore è sempre una tragedia per la famiglia. Quando questo qualcuno è il leader di un movimento politico è una tragedia per il movimento. Quando è qualcuno che sia riuscito ad essere libero in una tirannia è una tragedia per tutto il mondo libero. E tutto il mondo libero dovrebbe sentirsi moralmente obbligato a raccoglierne l’eredità».
Quali ricordi questa tragica vicenda le hanno riportato alla mente sulla vita nei gulag?
«Quello che ho passato nel gulag è stato molto simile a quello che stava vivendo Navalny. Senti che tutto il sistema si mobilita per distruggerti sia mentalmente e fisicamente, per farti sentire che sei solo e senza speranze. E tu hai solo la tua immaginazione per capire che sei nel mezzo di una lotta storica. Io ho speso 400 giorni in isolamento e quando Navalny mi scrisse, dopo il primo anno, era a 120 giorni. Io gli ho detto che sembrava avviato a battere il mio record, perché io quei 400 giorni li ho accumulati in nove anni. Fino alla fine della mia prigionia io insistevo nel volere la libertà e lui è rimasto un uomo libero fino al momento della sua morte. È difficile per molte persone capirlo, ma la libertà non significa non essere in prigione, la libertà è continuare a vivere secondo i propri principi e le proprie idee».

Ultimo aggiornamento: 08:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA