Israele, Netanyahu vince ancora: così Trump ha dato forza a "Bibi"

Mercoledì 10 Aprile 2019 di Marco Ventura
Israele, Netanyahu vince ancora: così Trump ha dato forza a "Bibi"

Se Netanyahu ha vinto, lo deve al modo in cui la destra alla sua destra, ovvero gli ebrei ortodossi e quelli degli insediamenti, hanno apprezzato la sua fermezza sui territori occupati da annettere, la difesa di tutti i coloni, e il costante appoggio del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Solo nell'ultimo anno, anzi negli ultimi mesi, è stata una vera escalation di gesti dimostrativi, fortemente ideologizzati, con cui l'America di Trump ha sposato la linea dura anti-iraniana di Bibi Netanyahu.
Ne è una prova il riconoscimento indiretto di Gerusalemme capitale dello Stato di Israele grazie al trasferimento dell'Ambasciata a stelle e strisce da Tel Aviv. Un gesto di rottura della consolidata ma pigra diplomazia internazionale. Ed ecco il tweet col quale Trump annuncia che riconoscerà (poi lo ha fatto) la sovranità israeliana sulle alture del Golan occupate durante la guerra di difesa nel remoto 1967. Infine, a ridosso del voto, Donald ha fatto inserire i pasdaran, i Guardiani iraniani della Rivoluzione, nella lista nera delle organizzazioni considerate terroristiche, e per la prima volta ha marchiato a fuoco una struttura militare statuale in quanto tale.

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LA QUESTIONE NUCLEARE
Ma prima ancora va ricordata la decisione che rivelò con plastica evidenza la scelta di campo Usa in Medio Oriente, senza se e senza ma pro-Israele, ovvero il ritiro dall'accordo sul nucleare con l'Iran. Politica semplice e assertiva, quella di Trump, che consiste nel combattere «i nemici dei miei amici». Così si è cementata l'amicizia «per la pelle» tra Bibi e Don. Così è stato sigillato il patto di sintonia personale tra i leader e ribadito quel misto di forza, pragmatismo e unilateralismo che non si cura degli aspetti legali di politica internazionale, ma guarda alla sostanza storica d'un Paese che non riesce (o non vuole) individuare un interlocutore unico, credibile nel fronte palestinese, per concordare una pace possibile. L'appoggio di Trump si è snodato e sviluppato, nel corso dei mesi, tramite l'attualità mediorientale, in tutte le occasioni possibili. E in tutti i modi, per esempio tagliando gli aiuti all'Autorità nazionale palestinese. Netanyahu, forte del sostegno dei partiti minori ortodossi di destra, ha potuto sempre contare sull'amico Trump. Per esempio, ha potuto replicare al suo grande avversario, Benny Gantz, che gli chiedeva conto del perché non avesse detto da tempo, e non alla vigilia del voto, di voler annettere parti della Cisgiordania occupata, che adesso la differenza è che Trump «è dalla nostra parte».

NUOVO CONSENSO
È così che Netanyahu è riuscito a conquistare gradualmente il consenso di un settore cruciale di elettorato israeliano: quello ultraortodosso, dei coloni ai quali Bibi ha promesso di non lasciare nessuno indietro. Anche l'ultima vicenda di Gaza, con gli attacchi di razzi in profondità su Israele, ha visto Stati Uniti e Israele schierati dalla stessa parte. Anzi, l'attacco palestinese è caduto proprio nel mezzo della visita di Netanyahu a Washington, una trasferta precipitosamente interrotta per rientrare in patria e coordinare l'emergenza.
Il tema dell'Iran è quello che sullo sfondo, anzi al fondo di tutto, interessa di più Israele, perché i pasdaran perlustrano gli avamposti siriani del Golan, e in Libano gli Hezbollah tengono alta la bandiera della Rivoluzione khomeinista. La notte è lunga. Ma Trump, in Israele, ha già vinto.
 

Ultimo aggiornamento: 10:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA