Israele e l'attacco a Damasco, la minaccia dell'Iran: «Si pentirà». Ecco dove può colpire (e i nuovi fronti)

Teheran annuncia una reazione, che però non sarà immediata. E forse neanche diretta

Mercoledì 3 Aprile 2024 di Marco Ventura
Israele e l'attacco a Damasco, la minaccia dell'Iran: «Si pentirà». Ecco dove può colpire (e i nuovi fronti)

Tuonano i vertici iraniani contro Israele, minacciano vendette e assicurano che Netanyahu dovrà pentirsi per il raid degli F-35 sul consolato iraniano a Damasco con 13 morti (bilancio ancora provvisorio) compresi due generali delle Guardie rivoluzionarie a capo della forza d’élite Quds in Libano e Siria. «Il malevolo regime sionista sarà punito per mano dei coraggiosi nostri uomini», promette la Guida Suprema, Ali Khamenei. «Li faremo pentire per questo crimine».

Per un atto, rincara il presidente iraniano Ebrahim Raisi, «criminale, disumano e vigliacco». 

Le autorità di Teheran, come al solito, si riservano i tempi e i modi della vendetta. Per il momento, però, si limitano a denunciare la violazione del diritto internazionale, «un atto di terrorismo», come sottolinea il ministero degli Esteri russo, perché i missili hanno colpito un edificio consolare. Funzionari anonimi israeliani, citati dai media Usa, confermano quello che ufficialmente il governo di Israele non ammette, cioè che il raid è stato condotto da caccia con la Stella di Davide, ma sottolineano che il palazzo a due piani spianato dai missili era tutt’altro che un compound diplomatico, «era una base militare» in cui per di più si stava per tenere un incontro tra i capi delle Guardie rivoluzionarie e gli emissari della Jihad Islamica alleata di Hamas, che tuttora detiene gli ostaggi a Gaza. «Dopo ripetute sconfitte e fallimenti davanti alla fede e alla volontà dei combattenti dell’Asse della Resistenza, il regime sionista ha messo in agenda questi omicidi ciechi», sostiene il presidente Raisi sul suo sito web. 

LE CONSEGUENZE

La prima reazione da parte di Teheran è quella di consegnare un messaggio nelle mani dell’Ambasciatore svizzero in Iran, che dopo la rottura delle relazioni diplomatiche con Washington cura gli interessi degli americani nel Paese, accusando di collusione e coinvolgimento la Casa Bianca. Di rimbalzo, il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Matthew Miller, dichiara che «stiamo ancora raccogliendo informazioni riguardo all’origine dell’attacco, su cui non abbiamo conferme». Secondo il sito Axios, gli americani avrebbero informato l’Iran, per i loro canali, che gli Stati Uniti «non sono coinvolti, né eravamo a conoscenza in anticipo di questo attacco». Gli israeliani avrebbero avvertito Washington soltanto pochi minuti prima del raid, senza peraltro chiedere il via libera. Di più, l’ex sottosegretario Usa agli Affari politici, Nuland, da parte sua ritiene che Biden dovrebbe semmai essere preoccupato di un allargamento del conflitto in conseguenza dell’attacco israeliano. Condanne arrivano da diversi Paesi, non solo da Siria, Iran, Arabia Saudita, Libano e insomma dai Paesi arabi della regione, ma anche dall’Onu con il segretario generale, Guterres, che rivendica l’immunità delle sedi diplomatiche, e dalla Ue che si dice, attraverso un portavoce, «allarmata» al pari degli Stati Uniti dalla possibile estensione del conflitto. 

I NUOVI FRONTI

Gli israeliani, al contrario, non paiono preoccupati dal fatto che si ritrovano adesso con cinque fronti aperti: Gaza, la frontiera con il Libano (dove già sono stati costretti a attaccare per una profondità di circa 100 km), quella con la Siria dove sono attive le milizie filo-iraniane che sostengono il presidente Bashar el-Assad, poi lo Yemen controllato dai ribelli Huthi che lanciano missili contro le navi nel Mar Rosso e contro la città meridionale israeliana di Eilat, senza successo, e infine adesso l’Iran. Gli analisti si interrogano sulle opzioni che ha Teheran per effettuare l’inevitabile rappresaglia. Meri Litvak, per esempio, docente di Storia del Medio Oriente esperto di Iran all’Università di Tel Aviv, dice che «quasi certamente» Teheran proverà a reagire: «In passato abbiamo assistito all’attacco alle ambasciate israeliane a Nuova Delhi e in Asia Centrale, a due attentati di grande successo in Argentina che hanno ucciso decine di persone, un altro contro turisti israeliani in Bulgaria, tentativi di omicidio mirati e assalti a porti israeliani». 

 

Per gli analisti interpellati dalla Cnn, invece, l’Iran ha soltanto opzioni limitate, considerando che non è suo interesse entrare in conflitto diretto con Israele o con gli Stati Uniti. Potrebbe reagire con le milizie alleate, come già in parte successo ieri con attacchi a una importante base americana al confine tra Siria e Giordania, o attraverso l’intensificarsi del lancio di missili verso Israele da parte di Hezbollah, dal Libano. In passato, diplomatici israeliani sono finito sotto il fuoco di agenti iraniani in India, Georgia e Thailandia. E c’è chi indica con insistenza la possibilità di un attentato all’Ambasciata di Israele in Azerbaigian, dopo che un membro del Parlamento iraniano, Jalal Rashid Kochi, l’ha indicata esplicitamente come bersaglio. Quando fu ucciso il grande capo dei pasdaran, il generale Soleimani, da un drone di Trump, la risposta arrivò coi missili su una base Usa che fece grandi danni ma nessuna vittima. Cinque giorni dopo. 

Ultimo aggiornamento: 4 Aprile, 09:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA