Gaza, cosa succederà dopo la guerra? Il piano (nebuloso) di Netanyahu e l'ipotesi "rioccupazione"

«La responsabilità della sicurezza nella Striscia resterà nelle nostre mani per un periodo indefinito, perché abbiamo visto cosa succede quando non ce l’abbiamo», ha detto il premier israeliano

Mercoledì 8 Novembre 2023 di Claudia Guasco
Gaza, cosa succederà dopo la guerra? Il piano (nebuloso) di Netanyahu e l'ipotesi "rioccupazione"

Benjamin Netanyahu lo ha detto chiaramente: la presenza militare di Israele a Gaza si prolungherà anche dopo la fine della guerra, non solo nel nord.

Posizione in netto contrasto con quella del presidente americano Joe Biden, che considera un gravissimo errore, una volta sconfitta Hamas, occupare militarmente la Striscia come accaduto fino al 2005. Riportando così indietro l’orologio del tempo. Le parole del premier israeliano, pronunciate il 7 novembre davanti alle telecamere della Abc, lasciano poco spazio alle interpretazioni: portata a compimento l’operazione per annientare il nemico, «la responsabilità della sicurezza nella Striscia resterà nelle nostre mani per un periodo indefinito, perché abbiamo visto cosa succede quando non ce l’abbiamo».

Gaza, cosa succederà dopo la guerra?

Le dichiarazioni di Netanyahu forniscono l’indicazione più chiara fin qui espressa circa le intenzioni di mantenere uno stretto controllo su Gaza, dove prima del conflitto vivevano 2,3 milioni di palestinesi. Le Nazioni Unite e altri organismi mondiali, inclusa l’Unione europea, considerano la Striscia tecnicamente occupata: nonostante Israele abbia ritirato le sue forze nel 2005, ha mantenuto il controllo effettivo sul territorio via terra, mare e aria. «Israele garantirà responsabilmente la sicurezza generale per un periodo indefinito», ha affermato lunedì Netanyahu in un’intervista alla ABC News, «perché abbiamo visto cosa succede quando non ce l’abbiamo». Ma come esattamente il premier abbia intenzione di agire non è chiaro. Media ebraici citati in un approfondimento del Guardian lo suggeriscono in forma approssimativa. Le Forze di difesa israeliane e l’agenzia di sicurezza interna Shin Bet, è l’ipotesi, supervisionerebbero gli accordi di sicurezza con la speranza che altri Paesi, non ultimo il mondo arabo, contribuiscano a finanziare una risposta umanitaria. Tali accordi resterebbero in vigore finché si ritenga che le comunità israeliane vicine a Gaza siano al sicuro. Scenari su quali gravano molteplici incognite. Un problema considerevole, secondo il Guardian, è in che modo Israele possa riuscire a separare qualsiasi accordo di sicurezza sul campo dagli obblighi più ampi che tale patto implicherebbe. Quando Israele ha ritirato le truppe da Gaza diciotto anni fa ha sostenuto di aver posto fine al suo governo militare e all’occupazione. Tuttavia questa affermazione non è stata unanimemente condivisa: un rapporto del 2022 della commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati evidenza che Gaza è rimasta di fatto occupata con altri mezzi, compreso il controllo israeliano sullo spazio aereo, sui valichi terrestri e sulle funzioni governative come la gestione del registro della popolazione palestinese. Inoltre, ricorda il Guardian, secondo il diritto internazionale umanitario la presenza prolungata delle truppe israeliane porrebbe chiare responsabilità in capo a Israele come forza occupante, definita dal fatto che ha un controllo effettivo sui territori in cui è presente.

Le ipotesi

A rendere oltremodo nebuloso il piano di Netanyahu per il futuro della Striscia, secondo i media, è che non tutti i membri del suo gabinetto politico hanno trasmesso il medesimo messaggio. Il ministro della Difesa Yoav Gallant sembra suggerire esattamente il contrario per l’amministrazione di Gaza: «Una volta terminati i combattimenti, Israele dovrà porre fine al suo coinvolgimento nella responsabilità sulla vita del territorio», sostiene. Parlando con il Wall Street Journal il ministro degli Esteri Eli Cohen è esplicito: «Non vogliamo governare Gaza. Non vogliamo gestire le loro vite». La possibilità che Israele possa rioccupare militarmente la Striscia come avvenuto nel 1967 è contrastata anche dall’amministrazione americana. Intervenendo da Tokio dove si è svolta la ministeriale dei capi delle diplomazie del G7, il segretario di Stato americano Antony Blinken è stato efficace e sintetico: «Gaza non può continuare a essere governata da Hamas. È anche chiaro che Israele non può occupare Gaza. Ora, la realtà è che potrebbe essere necessario un periodo di transizione alla fine del conflitto». E confida che ciò avverrà: «Non vediamo una rioccupazione - ha aggiunto - e quello che ho sentito dai leader israeliani è che non hanno alcuna intenzione di rioccupare Gaza». Dopo l’intervista di Netanyahu il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha manifestato in maniera molto netta la convinzione degli Usa: «Una rioccupazione di Gaza da parte delle forze israeliane non è la cosa giusta da fare». Messaggio che ha indotto il governo israeliano a ritrattare parzialmente le parole del premier. Mark Regev, consigliere del primo ministro, ha spiegato che a conflitto concluso «ci dovrà essere una presenza di sicurezza, ma questo non significa che Israele rioccuperà Gaza. Non significa che Israele governerà la popolazione di Gaza». Sulle modalità anche Regev è stato fumoso, limitandosi a prevedere «nuove strutture» e un’impostazione di sicurezza «fluida» e «flessibile». Nessuno, rimarca il Guardian, sa in concreto come questa struttura possa funzionare. Sta di fatto che da tempo sono in corso riflessioni sull’operato di Israele, che avrebbe cominciato una guerra contro Hamas senza avere predisposto un piano di lungo periodo. Prima che cominciasse l’invasione di terra della Striscia e a bombardamenti già in corso il Financial Times ha pubblicato un articolo che ha suscitato animazione, riportando i commenti di funzionari governativi statunitensi che avevano partecipato a riunioni con la leadership israeliana. E uno di questi asseriva: «Non c’è un piano per il “day after”. I vertici non hanno ancora deciso. Quando hanno scoperto che non c’era un piano, gli americani sono impazziti».

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