Kateryna Prokopenko, la moglie del comandante della Brigata Azov: «Denis resiste, ma senza più speranze»

I mariti combattono nell'acciaieria Azovstal di Mariupol, loro sono partite per salvarsi accompagnate dal dissidente russo Verzilov

Giovedì 28 Aprile 2022 di Michela Allegri
Kateryna Prokopenko, la moglie del comandante della Brigata Azov: «Denis resiste, ma senza più speranze»

Kateryna Prokopenko si commuove quando pensa all’ultimo ricordo felice: il giorno di san Valentino, a Mariupol, «quando tutto era ancora pieno di vita. Eravamo così felici io e Denis». Anche se Azov aveva già iniziato ad addestrare i civili in caso di attacco. «Poi me ne sono andata e dieci giorni dopo è iniziata la guerra - ricorda - Adesso a Mariupol non c’è più nulla, nessuna casa è rimasta in piedi.

Eravamo convinti di poter liberare la città, ora lì non esiste più nessuna città». Kateryna è la moglie di Denis Prokopenko, comandante del battaglione Azov. Racconta l’ultima telefonata con il suo uomo: «Non l’ho mai sentito così cupo - dice - era appena stato bombardato l’ospedale dove erano ricoverati molti suoi amici. Ci siamo sentiti all’una di notte e all’improvviso la connessione è saltata, mi diceva che stavano bombardando. Quando non l’ho sentito più parlare è stato un tuffo al cuore. Il mattino dopo mi ha detto che erano cadute almeno cinquanta bombe che hanno raso al suolo l’ospedale».

Denis è sempre stato pieno di vita, convinto a resistere fino alla fine, «lui mi dava speranza, diceva sempre che avremmo vinto. Dopo l’ultima notte, quando al posto dell’ospedale è rimasto un cratere grande come un palazzo di cinque piani, non ha più avuto parole. Siamo sotto choc. L’unica speranza è che l’Unione europea attivi delle procedure di estrazione per salvare i nostri uomini». Sono intrappolati nell’acciaieria di Mariupol, resistono da due mesi all’assedio, «sono come chiusi in una gabbia a scontrarsi con una tigre».

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LO STREMO

Le forze sono allo stremo, i medicinali scarseggiano. «I feriti stanno morendo in modo atroce - dice Yulya Fedosiuk, 29 anni, assistente parlamentare e moglie del combattente Arseniy Fedosiuk - chi è ferito non può venire medicato e ha il corpo che sta marcendo. Non ci sono antidolorifici, è tutto insopportabile». Mancano anche cibo e acqua: «Il poco che hanno lo dividono con i civili, con i bambini, mangiano alimenti scaduti, sono costretti a bere acqua non potabile, quella che si trova nei macchinari dell’acciaieria. Non possono nemmeno portare via i cadaveri e seppellirli». Yulya ha deciso di parlare in russo, negli studi di Porta a Porta dove è stata ospite insieme a Kateryna, ad Adrianova Olha e Anya Naumenko, moglie e compagna di altri due combattenti di Azov. Sono a Roma per lanciare un appello all’Italia e all’Ue: chiedono aiuto per salvare i loro mariti, «ma anche i bambini e i nonni rimasti a Mariupol».

 

Parla nella lingua del Cremlino per dimostrare come a Kiev non ci sia una discriminazione nei confronti della minoranza linguistica, come ha sostenuto Putin: «Molti componenti di Azov parlano in russo - dice Yulya - difendono la libertà, non solo dell’Ucraina ma di tutta l’Europa». E sulle accuse mosse ai loro uomini di fare parte di un’armata di estrema destra, risponde: «Azov non ha compiuto violenze in Donbass, se guardiamo le immagini del Donetsk si vede che nessuna casa è distrutta, mentre a Mariupol non c’è una casa in piedi». E poi c’è Olha, 31 anni, moglie di Sergey Petrenko. Ha la voce rotta dall’angoscia: «Non sento mio marito da una settimana. Era nell’ospedale che è stato colpito, non so se è vivo o morto. Lui non mi parla mai della guerra, non vuole trasmettermi il terrore. Dice che devo continuare a vivere e a credere». Anya Naumenko, 25 anni, fidanzata di Dmytro Danilov, si sarebbe dovuta sposare in maggio. «Stanno cercando le forze per reggere, ogni giorno è più difficile, ma non possono arrendersi senza garanzie. Spero che la luce riuscirà a vincere contro il buio, perché il buio è il male ed è Putin».

Ultimo aggiornamento: 30 Aprile, 09:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA