Gli arbitri sbagliano come i calciatori, ma il sistema che li forma e gestisce è basato su metodi medievali

Mercoledì 6 Marzo 2024

Caro direttore,
leggo in questi giorni continui interventi sull'operato degli arbitri di calcio. Domenica, poi, ho assistito ad un'imbarazzante puntata di Novantesimo minuto in cui tutti, giornalisti e ospiti, si sprecavano in accuse generalizzate alla categoria e ai suoi vertici. "Troppi arbitri tra A e B, poca selezione, errori su errori". Una cosa in particolare mi ha colpito, che nessuno abbia speso una parola sul mestiere di arbitro oggi in Italia e sull'atteggiamentio dei calciatori (e dirigenti), spesso polemici e aggressivi fino all'eccesso. Quanto più rilassanti le partite del calcio inglese, dove vige il rispetto e le decisioni del direttore di gara vengono accolte con ben altro atteggiamento. È un diritto, la critica, beninteso, ma non si può pretendere di sezionare le decisioni controverse alla ricerca spasmodica dell'incapacità o della malafede. In un sistema sportivo sano si accettano le regole quanto gli errori.

Sandro Del Todesco


Caro lettore,
sbagliano i calciatori, sbagliano gli arbitri e gli errori andrebbero accettati da tutti, senza drammi e sceneggiate, come una componente del gioco (perché di questo stiamo parlando: di un gioco per quanto miliardario).

Tuttavia sarebbe sbagliato chiudere gli occhi di fronte ad alcuni dati: nell'attuale stagione sono state almeno 20 le partite in cui ci sono stati errori riconosciuti dalle autorità tecniche arbitrali e nella metà dei casi è stato anche deciso di sospendere per un certo periodo il direttore di gara. Non era mai accaduto ed è paradossale che succeda proprio ora considerate le dotazioni e i supporti tecnologici, su cui i direttori di gara possono contare. Naturalmente ci sono anche ragioni tecniche: il calcio attuale è molto più veloce e fisico e questo aumenta il rischio di errori rispetto al passato. Ma credo che il tema sia anche un altro: all'evoluzione tecnologica e tecnica non ha fatto riscontro un'adeguata crescita, non solo sportiva, degli arbitri. E quando parliamo di tecnologia non dobbiamo pensare solo al Var e agli altri strumenti di cui dispongono i direttori di gara, ma al fatto che oggi tutti, spettatori e panchine, in tempo reale possono vedere e rivedere un'azione o un rigore contestati: e questo genera immediati cortocircuiti emotivi dentro e fuori il campo, accelera reazioni e contestazioni. Inevitabili quanto non semplici da gestire. Per questo servono arbitri dotati di una preparazione diversa da quella del passato. E con ogni probabilità serve anche un salto di qualità nell'organizzazione del sistema arbitrale nel suo complesso. Un arbitro di serie A o B è un professionista e come tale andrebbe trattato e gestito a tutti gli effetti, partendo dalla selezione passando per la sua formazione e il suo impegno. Al contrario il sistema attuale, incardinato intorno all'Aia, è spesso condizionato da regole medievali e di gestione fortemente personalistiche, ormai insostenibili e inadeguate. In questo, la crisi degli arbitri è lo specchio del calcio e dei suoi problemi: un mondo, inondato di denaro, in cui si cerca ipocritamente di far convivere il diavolo con l'acqua santa, la presunta purezza sportiva con gli enormi interessi economici, arretratezze e modernità. Ma ad un certo punto il giocattolo rischia di rompersi.

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