Variante Eris, dopo i primi sintomi quali medicinali assumere? Quali vanno evitati? Le linee guida

Al momento le linee guida sulle cure al Covid non sono cambiate anche alla luce dell'insorgere delle nuova varianti del virus. Ecco le indicazioni del ministero della Salute

Martedì 19 Settembre 2023 di Simone Pierini
Variante Eris, quali medicinali assumere dopo i primi sintomi? Quali vanno evitati?

La variante Eris è tornata a provocare l'aumento dei contagi Covid. Sono numerose le testimonianze di persone costrette a casa alle prese con i sintomi e i medici di base confermano la rapida diffusione del virus tra la popolazione. Al momento, grazie alla protezione offerta dai vaccini, la situazione in ambito ospedaliero non suscita forti preoccupazioni ma l'attenzione è tornata alta. I contagi risultano in crescita ormai da due settimane - segnando un +44% di casi negli ultimi 7 giorni secondo i dati del bollettino dell'Istituto superiore di sanità e ministero - ed i ricoveri non fanno registrare criticità negli ospedali mantenendosi in numero ridotto pur segnando una lieve crescita, nelle regioni si lavora in vista appunto della campagna di vaccinazione al via da ottobre. 

I farmaci per curare i primi sintomi

Con l'insorgenza dei sintomi e la conferma della positività del tampone è sempre bene informare il medico di base per una migliore gestione del decorso della malattia. Per curare i primi sintomi le linee guida del ministero della Salute in linea con le indicazioni dell'Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) non sono cambiate anche alla luce dell'arrivo delle nuove varianti, come Eris e Pirola. Il farmaco suggerito dal Ministero per chi presenta sintomi leggeri come febbre, malessere, dolori articolari o muscolari rimane il paracetamolo.

In alternativa, sempre secondo le indicazioni degli specialisti, possono essere utilizzati anche farmaci FANS, cioè farmaci anti-infiammatori non steroidei, come l’aspirina o l’ibuprofene (a meno che non esista chiara controindicazione all’assunzione). In ogni caso, va sempre informato il proprio medico di base e si devono evitare soluzioni fai-da-te. 

 

Quali farmaci non utilizzare

Di norma, per il trattamento delle infezioni virali non è mai raccomandato l’utilizzo degli antibiotici. La loro prescrizione può essere presa in considerazione per il trattamento contro Covid-19 qualora la sintomatologia persista per più di 48-72 ore e il quadro clinico faccia sospettare la presenza di una sovrapposizione batterica.

Per quanto riguarda l’idrossiclorochina e la clorochina attualmente i dati scientifici derivati da sperimentazioni cliniche in tutto il mondo hanno mostrato in maniera consistente che questi farmaci non sono efficaci nel trattamento della Covid-19.  A differenza di quello che si pensava all’inizio della pandemia, le due molecole (commercializzate già dal primo dopoguerra come farmaci contro la malaria) non migliorano la sintomatologia dei pazienti e non riducono il periodo di degenza. In alcuni casi possono anche essere responsabili di effetti collaterali, come aritmie cardiache, interagendo negativamente con altri farmaci.

Corticosteroidi 

Secondo quanto riportato nelle linee guida Aifa l’uso dei corticosteroidi è raccomandato nei soggetti ospedalizzati con malattia Covid-19 grave che necessitano di supplementazione di ossigeno. Tale raccomandazione si basa sul fatto che attualmente esistono evidenze di un benefico clinico di tali farmaci solo in questo setting di pazienti/fase di malattia. Si sottolinea, inoltre, che nella fase iniziale della malattia (nella quale prevalgono i fenomeni connessi alla replicazione virale) l’utilizzo del cortisone potrebbe avere un impatto negativo sulla risposta immunitaria sviluppata. L’uso dei corticosteroidi a domicilio può essere considerato nei pazienti che presentano fattori di rischio di progressione di malattia verso forme severe, in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia e qualora non sia possibile nell’immediato il ricovero per sovraccarico delle strutture ospedaliere. Lo studio che ha dimostrato la riduzione di mortalità con basse dosi di corticosteroidi ha utilizzato il desametasone al dosaggio di 6 mg per un massimo di 10 giorni. Eventuali altri corticosteroidi dovrebbero essere utilizzati a dosaggi equivalenti (metilprednisolone 32 mg, prednisone 40mg, idrocortisone 160mg). È importante, infine, ricordare che in molti soggetti con malattie croniche l’utilizzo del cortisone può determinare importanti eventi avversi che rischiano di complicare il decorso della malattia virale. Valga come esempio a tutti noto, quello dei soggetti diabetici in cui sia la presenza di un’infezione, sia l’uso del cortisone possono gravemente destabilizzare il controllo glicemico. 

Antivirali

Recentemente sono stati resi disponibili tre antivirali (remdesivir, nirmatrelvir/ritonavir e molnupiravir) per il trattamento di soggetti adulti con COVID-19 che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e che sono a maggior rischio di progressione verso forme severe di COVID19. Il remdesivir è un farmaco antivirale (profarmaco analogo nucleotidico dell’adenosina), già autorizzato da EMA per il trattamento del COVID-19 con polmonite che richiede ossigenoterapia supplementare, ha ottenuto a dicembre 2021 l’autorizzazione per l’estensione di indicazione relativa al trattamento del COVID-19 negli “adulti che non richiedono ossigenoterapia supplementare e presentano un aumento del rischio di progressione a COVID-19 severa”. Il trattamento deve essere iniziato il prima possibile dopo la diagnosi di COVID-19 ed entro 7 giorni dalla comparsa dei sintomi. 

Anticorpi monoclonali

Gli anticorpi monoclonali disponibili in Italia sono: l‘associazione casirivimab/imdevimab, l’associazione bamlanivimab/etesevimab e il sotrovimab. Gli anticorpi monoclonali casirivimab/imdevimab e il sotrovimab sono stati autorizzati dall’EMA, mentre l’associazione bamlanivimab/etesevimab, è stata resa disponibile ai sensi del’Art.5.2 del DL 219/2006 (Decreto Ministeriale del 6 febbraio 2021 e del 12 luglio 2021). La popolazione candidabile alla terapia con i tre trattamenti è rappresentata da soggetti di età pari o superiore a 12 anni (e almeno 40 Kg), positivi al SARS-CoV-2, non ospedalizzati per COVID-19, non in ossigenoterapia per COVID-19, con sintomi di grado lieve-moderato e che sono ad alto rischio di COVID-19 severa. COVID-19 deve essere di recente insorgenza (comunque da non oltre 7 giorni). Il trattamento è possibile oltre i sette giorni dall’esordio solo in soggetti con immunodeficienza che presentino: sierologia per SARS-CoV-2 negativa e prolungata positività al tampone molecolare.

Saturimetro

Anche in assenza di crisi respiratorie evidenti, è bene monitorare l’evoluzione della malattia, perché vi è la possibilità di ipossiemie non altrimenti rilevabili, condizioni caratterizzate da una bassa ossigenazione del sangue, nonostante la respirazione rimanga apparentemente normale. Ecco perché uno dei parametri più importanti da tenere monitorato è la saturazione dell’ossigeno nel sangue. Questa può essere registrata grazie a un saturimetro. Secondo quanto riportato sul sito del San Raffaele di Milano «se nei soggetti adulti sani, non fumatori, una saturazione normale supera il 95%, con l’avanzare dell’età questa percentuale tende ad abbassarsi, in particolare se concomitano patologie polmonari e/o cardiovascolari. Nei pazienti Covid-19 positivi domiciliati bisogna considerare come valore soglia il 92%». «Per valutare in modo ancora più preciso la situazione - si legge ancora - è consigliabile monitorare l’ossigenazione del sangue sotto sforzo, camminando per esempio per circa 6 minuti e osservando attentamente i valori registrati. Se la percentuale scende sotto il 92%, o di almeno 3 punti percentuali rispetto al basale a riposo, è bene informare il proprio medico di famiglia e valutare insieme come procedere».

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