Sudan, le chiamate ai generali e gli spari in ambasciata. «Così abbiamo salvato gli italiani»

La mediazione dell’Aise, l’arrivo delle forze speciali. Il racconto delle ultime ore

Martedì 25 Aprile 2023 di Cristiana Mangani
Sudan, le chiamate ai generali e gli spari in ambasciata. «Così abbiamo salvato gli italiani»

Soffia un leggero vento caldo all’alba del 15 aprile. Da lì a poco la temperatura salirà. Le forze armate del generale Abdel-Fattah Al-Burhan, capo del Consiglio sovrano che guida il paese, e i paramilitari delle Forze di sostegno rapido (Rsf) guidate dal numero due della giunta, Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, scendono in guerra. È in atto un tentativo di golpe. I combattimenti si fanno massicci, nel fuoco incrociato si rischia la vita. La sede diplomatica italiana è nella Capitale, dove le raffiche si susseguono. Non c’è tempo da perdere. Il livello della minaccia appare subito chiaro, quando alle 16 la residenza di Luca Rampone, primo segretario di ambasciata, viene raggiunta da proiettili vaganti. L’escalation della battaglia è rapido, l’intervento per mettere in sicurezza i cittadini italiani deve avvenire in fretta. 
L’Unità di crisi della Farnesina, guidata da Nicola Minasi, avvia le prime chat di comunicazione con “Dove siamo nel mondo”, il servizio del ministero degli Esteri per viaggiare sicuri, con Aire, e con ogni organismo necessario per ricevere informazioni sul maggior numero di italiani possibile.

Il tutto avviene in collegamento con Palazzo Chigi. 

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I RISCHI

I primi giorni passano alla ricerca degli stranieri che si trovano nel Paese. Le milizie sudanesi continuano a sparare e a uccidere. Molti dipendenti dell’ambasciata italiana a Khartoum finiscono nella traiettoria di fuoco, e per puro caso rimangono illesi. L’ambasciatore Michele Tommasi deve fare i conti anche con un’altra emergenza: due navi da crociera si trovano al largo di Port Sudan e hanno a bordo un gruppo di turisti italiani. Andrà tutto bene e la nave potrà riprendere il largo. 

La prima parte dell’operazione scatta lunedì 17. Alle 9 del mattino il contatto con i connazionali è avvenuto: stanno tutti bene. Si crea la lista dei nomi con la relativa mappa Gps. La situazione, però, sembra precipitare quando il giorno dopo i miliziani delle Rsf rompono le telecamere ed entrano in ambasciata. Rubano due motociclette e prelevano un poliziotto locale che è a guardia della Sede. La seconda prevede l’arrivo in ambasciata degli 82 connazionali presenti a Khartoum, dei quali 41 dipendenti della Sede e dell’ufficio Aics, con i relativi familiari.

È il momento di pianificare l’evacuazione. Alle 20 di martedì, in stretto raccordo con l’Aise, il servizio segreto esterno, diretto dal generale Giovanni Caravelli, cominciano i primi spostamenti del personale diplomatico nella residenza dell’ambasciatore. La nostra intelligence lavora per trovare un accordo con entrambe le fazioni in lotta. Chiede “un corridoio di sicurezza” per permettere agli italiani di arrivare nell’aeroporto della base militare a Wadi Seidna, l’unico operativo. 

Giovedì 20 l’Unità di crisi avvia i contatti con il Covi, il Comando di vertice dell’Area operativa Interforze, comandato dal generale Francesco Paolo Figliuolo. Via Whatsapp viene inviato un messaggio di forte incoraggiamento agli italiani in giro per il paese, affinché rimangano lucidi e saldi. Viene comunicato anche che in quel momento l’evacuazione è impossibile perché l’aeroporto di Khartoum è stato bombardato ed è chiuso.

LA NAVE EGIZIANA

Ogni via di fuga viene utilizzata, compresa una nave egiziana, l’Andromeda, diretta a Hurghada e di passaggio in acque sudanesi, che imbarca un italiano che si trova nelle vicinanze. Verrà portato in salvo ed è gia tornato in Italia venerdì 21. Il piano di emergenza è avviato, ma gli inciampi e le difficoltà sono ovunque: un hotel che ospita due connazionali viene occupato dai paramilitari, costringendo gli italiani alla fuga insieme con altri cittadini europei.

Si arriva a domenica: la lista è completa. L’Unità di crisi e il Covi hanno continui contatti con i partner Ue. Vengono coordinati i convogli. Punto di raccolta: ore 12 nella residenza dell’ambasciatore, ore 14 nella sede del Covi. Da quel momento il coordinamento è con i militari di stanza a Gibuti che prevedono partenza ed evacuazione in giornata, con pianificazione militare facilitata da alleati Ue dalla Francia. Il report della Farnesina parla di «superata criticità nella notte per arrivo non coordinato di aerei britannici». Scendono in campo le Unità speciali: 29 uomini del Nono “Col Moschin”, degli incursori della Marina, gli agenti dell’Aise, il Gis dei carabinieri. «Più persone che si sono coordinate anche con le forze dei Paesi alleati», spiega il ministro della Difesa Guido Crosetto. 

Alle 14,36 inizia l’operazione logistica di evacuazione dalla residenza (6 auto più un pulmino), con l’Aise che continua a chiedere la sicurezza (poi ottenuta) alle forze sudanesi schierate in campo. Alle 15,07 partono i convogli con 37 persone verso il secondo punto di raccolta Covi, per proseguire verso la base militare a Wadi Seidna dove sono pronti a decollare due C-130 con 96 italiani e 30 stranieri. Il viaggio avverrà senza protezione militare, sarà offerta solo all’attraversamento del ponte sul Nilo. 

IL TASSISTA

Intanto, si continua a recuperare italiani in situazioni difficilissime. Una donna viene abbandonata per strada dal tassista mentre cerca di raggiungere l’aeroporto. A metà pomeriggio il generale Giuseppe Faraglia, comandante del Joint force headquarters italiano, incontra l’ambasciatore Tommasi in aeroporto. I primi connazionali entrano nell’hangar della base. Sono pronti a decollare. Alle 18,56 Tommasi comunica a Roma che sta avvenendo l’imbarco. Ma è alle 20,30 di ieri che finisce l’emergenza, quando gli italiani sono tutti a Roma.

L’ambasciata a Khartoum - ha annunciato il ministro degli Esteri Antonio Tajani - è ora chiusa, probabilmente verrà riaperta in Etiopia. «È stata un’operazione pianificata perfettamente - dice l’ambasciatore Tommasi appena sceso dall’aereo -, siamo felici di essere rientrati. Il coordinamento ai vari livelli è stato perfetto, però ora siamo un po’ stanchi».

Ultimo aggiornamento: 13:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA