Amava aiutare i poveri e i bisognosi. Per questo Alexandra Mezher, 22 anni, di origine libanese ma residente in Svezia, aveva deciso di fare di questa passione il suo lavoro. Mai avrebbe potuto immaginare che un giorno la sua indole caritatevole le si sarebbe ritorta contro. Lunedì sera, infatti, è stata brutalmente uccisa nel centro di accoglienza per rifugiati minorenni non accompagnati di Molndal, nel sud del Paese, dove prestava servizio. È stato proprio uno degli ospiti, di soli 15 anni, durante un litigio, ad aver pugnalato a morte la giovane.
L’aggressore è stato immediatamente arrestato ma le autorità svedesi, per evitare ripercussioni razziste, non hanno fornito al momento alcun dettaglio sulla sua identità e nazionalità. A denunciare il fatto alla polizia sarebbero stati gli altri giovani migranti del centro di accoglienza, tutti di età compresa tra i 14 e i 17 anni, molti dei quali in attesa di asilo. Sulle motivazioni che hanno scatenato la lite mortale indagano ancora gli inquirenti. All’interno della struttura sarebbe anche stato trovato il coltello usato come arma per uccidere Alexandra. «Era tutto sotto sopra, sulla scena del crimine c’era molto sangue – ha raccontato il portavoce del commissariato Thomas Fuxborg -. L’autore è stato sopraffatto dagli altri residenti, che sono sconvolti».
La cugina della vittima ha dichiarato ai media locali che «Alexandra era un angelo. È terribile che una persona che voleva fare del bene sia stata uccisa in questo modo proprio mentre stava facendo il suo lavoro». Il fatto di cronaca rischia, tuttavia, di avere pesanti ripercussioni in questi giorni in cui nell’agenda dei leader europei c’è prima di tutto la discussione sul trattato di Shenghen. Eppure proprio la Svezia, insieme alla Germania, è stato il Paese che più di ogni altro ha accolto le domande di asilo dei profughi nel corso del 2015.
Da poco, però, ha introdotto dei controlli temporanei alle frontiere nel tentativo di monitorare il flusso di persone.