«Presidente, siamo nelle sue mani: ci porti via da questo inferno». Inizia così la lettera che la mamma di una delle due bimbe vittime delle violenze di Parco Verde ha scritto al premier Meloni. «La aspettiamo - scrive la donna - per farle vedere gli orrori e il degrado di queste periferie, qui non c’è solo criminalità, droga e camorra, spesso alibi della politica nel non risolvere i problemi, ma pedofilia, violenza e prostituzione».
Fuggire da questo inferno, appunto. Un orrore anche solo a vedersi, come l’ex centro sportivo divenuto scenario degli stupri sulle due bambine. Il sequestro d’urgenza è del 24 luglio scorso «per l’esistenza di gravi rischi per la salute e l’incolumità pubblica», scrive la procura di Napoli Nord nel provvedimento. Non solo gli sversamenti di rifiuti tossici che si susseguono da anni ma anche ritrovo per i tossicodipendenti. Che lì si bucano ed a volte ci muoiono anche. L’ultimo proprio a fine luglio: un 42enne del Casertano il cui cadavere viene scoperto solo dopo. «Il centro sportivo deve essere ripristinato e reso funzionante il prima possibile», dice la premier. E solo il governo può imprimere una svolta per riaprire questa struttura la cui storia è alquanto tormentata. Anche se è bastato meno di un lustro a ridurlo in poco più di un rudere, facendo sbiadire il ricordo delle palestre e della piscina semi-olimpionica da 25 metri. Non c’è più nulla da recuperare, ormai, se non forse le mura maestre.
La realizzazione della struttura inizia subito dopo il terremoto del 1980 e va di pari passo con la costruzione di parco Verde. In totale 750 alloggi, 40 negozi, la chiesa San Paolo Apostolo che oggi guida don Maurizio Patriciello e l’auditorium «Caivano Arte». Quest’ultimo praticamente attaccato al Delphinia tanto da subirne la triste sorte: abbandonato e vandalizzato.
Lo Stato con i fondi delle legge 219, quella della Ricostruzione post sisma, investe nel giro di 5 anni, per tutto il comprensorio, una cifra che si aggirerebbe sui 400 miliardi di vecchie lire. Il progetto sulla carta prevede come non solo Caivano ma anche i nuovi residenti (che vengono per maggior parte dal centro storico di Napoli) possano godere di servizi sportivi. Niente. Perché gli sfollati napoletani arrivano sì nel giro di 5 anni ma l’uso della struttura sportiva gli verrà negata per altri tre lustri. Il Delphinia, infatti, viene completato ma rimase inutilizzato sino al ‘99 quando fu assegnato ad una società privata che lo ha diretto fino al 2018.
«Riuscimmo ad inaugurarlo solamente nel 1999 dopo la fine di una lunghissima battaglia tra due cordate di privati per la gestione. Lo ricordo bene perché allora ero assessore», ricorda oggi Enzo Falco, diventato poi sindaco di una coalizione di centrosinistra nel settembre del 2020, interrompendo un lungo periodo di commissariamento, durato circa 2 anni, seguito allo scioglimento per infiltrazioni camorristiche. Sino a fine luglio quando viene meno la maggioranza che lo sosteneva. L’amministrazione di Caivano, infatti, dal 4 agosto scorso è retta dal prefetto in quiescenza Gianfranco Tomao.
LA STRUTTURA
«Appena mi sono insediato ci siamo posti il problema di come riqualificare la struttura ormai chiusa e completamente vandalizzata», continua Falco. A dare il colpo finale alla struttura è la morte nel marzo del 2018 di un diciassettenne che ha un malore mentre si allena. Poi, subito dopo, si chiude il contratto tra il Comune e la società che l’ha in gestione. Ed è allora che la struttura, senza più un custode, inizia a diventare mercé di vandali e malviventi. Così, dopo qualche mese, l’auditorium da 700 posti che aveva garantito laboratori per i ragazzi e una programmazione di tutto rispetto. Tutto finito nell’oblio e nell’incuria con don Patriciello che denuncia tutto per mesi e mesi.