Strage in caserma/ Le telecamere hanno
ripreso tutto: una tragedia in 21 secondi

Mercoledì 3 Ottobre 2012 di Giuseppe Pietrobelli
Renato Addario, Antonino Zingale e l'auto vicino alla quale è avvenuta la tragedia a Porto Viro
ROVIGO - Tre vite bruciate in 21 secondi. Gli occhi di due telecamere a circuito chiuso, nella moderna caserma dei carabinieri di Porto Viro (Rovigo), sono un documento agghiacciante, e senza precedenti. Perché svelano cosa è accaduto prima della strage.



L’ultimo colloquio, apparentemente tranquillo, tra il comandante e il subalterno, senza uno screzio, un gesto di troppo, un accenno di stizza che potesse far presagire l’esplosione violenta. Poi la sequenza scandita dai tre colpi secchi della pistola d’ordinanza calibro 9 impugnata dall’assassino. Uno-due-tre. Il primo per il maresciallo. Il secondo per sua moglie. Il terzo per se stesso. La fine. Poi lo schermo si è animato di nuovo con l’inutile arrivo dei commilitoni a cui non è rimasto che osservare una scena degna di un regolamento di conti fra bande, non certo di una caserma dell’Arma.



Ieri mattina nei corridoi della Procura di Rovigo è stato un continuo andirivieni di investigatori. Alcuni di loro, assieme al sostituto procuratore Stefano Longhi, hanno passato e ripassato le immagini registrate da due telecamere collocate sul retro della struttura militare. Dall’alto hanno filmato tutto, senza audio, in una successione drammatica di gesti. La moviola è servita a cogliere le sfumature, a decifrare le espressioni dei volti, il grado di consapevolezza delle vittime di fronte alla morte.



La prima sequenza, poco prima delle 15.20. Il maresciallo Antonio Zingale, da quattro lustri alla guida della stazione dei carabinieri, è ritratto in borghese, vicino alla propria Mercedes. Per due giorni non è in servizio, in permesso per la morte del suocero. Gli si avvicina l’appuntato scelto Renato Addario, 50 anni, corpulento, con in mano un sacchetto delle immondizie. I due parlano tranquillamente, come due colleghi qualsiasi. Non litigano, non alzano la voce. Poi il subalterno rientra in caserma. Un minuto e mezzo dopo esce di nuovo.



Sono le 15 e 21. Questa volta ha in mano qualcosa, ma il suo comandante non lo vede, chino com’è a pulire il bagagliaio dell’auto, con un piccolo aspirapolvere in mano. Addario entra in un garage di color giallo. Si vede che armeggia, probabilmente carica la pistola. Si gira con gesto sicuro, freddo, implacabile. Non una parola. Il povero Zingale non si accorge della morte che gli viene addosso, neppure sente il rumore fatale dell’arma. Cade, ma la ripresa non rimanda il rumore cupo del corpo abbattuto.



Adesso la seconda telecamera inquadra Ginetta Giraldo, 51 anni, padovana di Arzergrande, intenta a curare i fiori di un’aiuola a una quindicina di metri di distanza. Sente il colpo, si gira. Guarda l’appuntato. Il marito è scomparso dietro la Mercedes. Fa qualche passo verso l’uomo che tiene la pistola lungo il corpo, come a coprirla. Le labbra pronunciano incomprensibili parole. Probabilmente chiede cos’è accaduto. Il carabiniere le si fa incontro, la supera quasi a volersi allontanare, ma poi le circonda le spalle con il braccio, e spara la seconda pallottola, dietro la testa.



L’ultimo frammento, mostra il carnefice che diventa vittima. Avvicina la canna alla faccia, poi alla tempia. E preme il grilletto. Tutto si è compiuto, appena 21 secondi dopo l’inizio.
Ultimo aggiornamento: 7 Aprile, 20:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA