Riforma Pa, no del Colle ai decreti omnibus. E il governo spacchetta in due

Mercoledì 25 Giugno 2014 di Marco Conti
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
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Il tira e molla lo aveva messo in conto. Al punto che, dopo settimane di limature dei testi messi a punto dal ministro Madia, il 13 giugno aveva deciso di spedire comunque il pacchetto agli uffici del Quirinale, al grido, tanto ci dovremo comunque rimetter mano.



Inutile quindi spendere altro tempo su quei 120 articoli che alla fine sono stati spacchettati in due distinti decreti al termine di un andirivieni tra palazzo Chigi, Ragioneria e Quirinale, durato più di due settimane.



In prova. «Erano solo bozze informali» sostengono i critici che nella fretta con la quale Matteo Renzi affronta le riforme scorgono preferibilmente il lato dell’annuncio. E’ pur vero che sottoporre alla burocrazia ministeriale la riforma della Pubblica Amministrazione non è, come qualcuno azzarda, paragonabile a sottoporre la riforma dell’Avis a Dracula, ma mettere insieme le mozzarelle di bufale con l’Expo e i poteri del super commissario Cantone, significa porre a dura prova l’abilità degli uffici legislativi e aprire ampi varchi a correzioni e retromarce.



Inoltre è ben nota la contrarietà del Quirinale a decreti omnibus nei quali vengono inserite norme eterogenee e che spesso non hanno i requisiti della necessità e dell’urgenza. Eppure in un Paese come il nostro la «necessità e l’urgenza» di mettere mano ad annose riforme, è nota. A cominciare dalla pubblica amministrazione tra le più costose e le più inefficienti al mondo.



«Nessun problema», problemi risolti, spiegava ieri mattina il sottosegretario Delrio celando il fastidio del governo. «Alla fine degli iniziali 120 articoli ne restano meno della metà (53) a comporre il decreto P.A.-semplificazioni (oggi in Gazzetta Ufficiale) nel quale vengono anche normati i poteri che spettano a Cantone. Il secondo pacchetto raccoglie invece tutte le misure che riguardano l’ambiente, lo sviluppo e l’agricoltura.



Poteri. Il risultato finale non è però quello immaginato all’avvio e neppure quello che avrebbe voluto Matteo Renzi perché oltre a saltare il divieto dei magistrati di ricoprire alti incarichi pubblici, vengono spostate in un apposito disegno di legge le norme sul pensionamento di militari e magistrati e sulle sezioni distaccate dei Tar, sull’accorpamento delle Authority e dell’Aci con la Motorizzazione.



Se non sono le resistenze che, su altre materie e in altri tempi, incontrò l’allora ministro Pier Luigi Bersani, poco ci manca ma il presidente del Consiglio giura di non voler mollare la presa ed è pronto, una volta avviata la riforma istituzionale che ridimensiona i poteri delle regioni, a tornare all’assalto su molti degli argomenti espunti dai due decreti. A cominciare dal ruolo della giustizia amministrativa.
Ultimo aggiornamento: 26 Giugno, 09:02