Pd, Renzi: «Voglio una sinistra più coraggiosa, basta con le larghe intese»

Lunedì 28 Ottobre 2013 di Renato Pezzini
Matteo Renzi
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dal nostro inviato FIRENZE - L’appello finale di Matteo Renzi sembra pi che altro rivolto a s stesso, e ai suoi: Non prendiamoci troppo sul serio, mi raccomando. Non dev’essere facile non prendersi sul serio sotto le grandi volte della Stazione Leopolda straripanti di gente, con decine di microfoni che lo braccano, con gli applausi ininterrotti che lo costringono a gridare per farsi sentire, con quelli che vedono in lui l’ultima speranza per cambiare, e per vincere.



«Attenzione, non abbiamo ancora vinto» prova a dire. In realtà, parla già da vincitore. Mette la scadenza alle cose che vuol fare da segretario del Pd: «Fra un anno torneremo qui e vedremo ciò che abbiamo realizzato». E parla, soprattutto, come chi sente di aver in qualche modo già cambiato l’anima al partito e può permettersi di respingere al mittente critiche e insinuazioni sull’autenticità della sua adesione ideale al Pd: «Ci vuole coraggio. La sinistra che non vuole cambiare diventa destra».



IL CONSENSO

La parola rottamazione un po’ la disconosce: «Quattro anni fa ponemmo il problema del ricambio generazionale, e magari potevamo usare parole più adeguate». Tuttavia la volontà di cambiare riti e riferimenti del partito è la stessa. Lo criticano per l’assenza di simboli del Pd? «Il problema non è che mancano le bandiere, ma le croci sulle schede elettorali accanto al nostro simbolo». Gli rimproverano di parlare molto di imprenditori e poco di operai? «Essere di sinistra significa fare un posto di lavoro in più, non uno in meno». Gli rinfacciano la voglia di leaderismo? «Uno da solo non può fare niente, ma la parola leadership non ci deve spaventare». Visto che tutti, in questi tre giorni, dovevano descrivere il futuro con una parola, Renzi ne sceglie due: stupore e semplicità. Lo stupore è un omaggio a tutta quella gente che oggi sta qui adorante: «Stiamo facendo la cosa più in controtendenza di tutte: crediamo nella politica». E per vestire di pathos la politica si fa aiutare dalle suggestioni di Alessandro Baricco: «Il futuro è come tornare a casa, cioè nel posto in cui ci piacerebbe vivere».



IL PROGRAMMA

Poi ce la semplicità. Che sono gli slogan - semplici - con cui enuncia il programma immediato, cioè una volta asceso al soglio della segreteria. Ne dice quattro. Proporre una riforma che cancelli il Senato e riduca il numero dei deputati; abolire le province; fare una legge elettorale simile a quella per l’elezione del sindaco: «Basta inciuci e basta larghe intese». Ultima, ma non per importanza, «la riforma della giustizia». E l’annuncia con l’impeto di chi vuole impossessarsi di un tema che fino a oggi è stato un totem della destra. Cita il caso di Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb assolto da ogni accusa dopo un anno di reclusione: «Non è possibile che la sinistra sia indifferente a queste cose». E dunque: una proposta per la riforma della giustizia. «La presenteremo al più presto». Il che ha i toni di una sfida ai berlusconiani, ma anche al proprio partito. Del resto, la sua battaglia più urgente è proprio che riguarda i democratici, i suoi riti, le sue burocrazie, i suoi tabù. «Aboliremo le correnti, a cominciare dalla corrente renziana». Parla quasi un’ora e nemmeno una parola su governo. Come a far intendere che, comunque, Letta per ora può stare tranquillo. Fino a quando non lo dice, forse non lo sa. Sa quello che non vuole più fare: «Una signora mi ha detto che non abbiamo parlato abbastanza di Berlusconi. Ma qui siamo venuti per parlare di futuro: che c’entra Berlusconi col futuro?».
Ultimo aggiornamento: 29 Ottobre, 16:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA