Michele, l'esploratore fotografo:
«Il senso della vita è il cammino»

Venerdì 9 Gennaio 2015 di Bruno Cera
Michele Dalla Palma
BASSANO (VICENZA) - Michele Dalla Palma è fondamentalmente un anarchico: un anarchico delle vette più pure e delle fosse più soffocanti, delle strade e delle piste, della penna e della macchina fotografica. Anche della famiglia e della terra d’origine, con le quali ha rapporti contrastanti. Ma solo così ha potuto realizzare imprese eccezionali e diventare a suo modo un "maestro"; i suoi insegnamenti vanno magari controcorrente, ma solo così si può scoprire qualcosa di nuovo, dentro e fuori sè stessi.

Dalla Palma ha appena presentato in città il suo ultimo libro "Fotoreportage" nel quale ripercorre le sue esperienze di viaggiatore e fotografo. Qual è lo spirito di questo lavoro?

«Per indole - risponde Michele - sono poco propenso a rispettare le regole; soprattutto in fotografia dove invece quasi sempre i manuali raccolgono una grossa mole di norme tecniche, quasi equazioni algebriche. Dopo oltre trent’anni di attività, con centinaia di servizi realizzati in ogni angolo di mondo, e una dozzina di libri pubblicati, mi sono reso conto di aver messo a punto una modalità del tutto personale, affinata nei corsi che tengo alla Nikon School Travel, di cui sono docente master. Questo volume, nelle mie intenzioni, avrebbe dovuto intitolarsi ’Etica e filosofia del fotoreportage’. L’etica e la filosofia, infatti sono la parte predominante di questo studio, in cui lo ’scatto’ è solo la parte conclusiva di un percorso di conoscenza della realtà che a mio avviso dovrebbe fare, sempre, chi sta dietro alla fotocamera».

Quali sono i segreti di un buon reportage?

«La narrazione per immagini deve innanzitutto avere un filo conduttore, che l’autore deve cercare e identificare ascoltando la propria sensibilità, per poi svilupparlo partendo dalla contestualizzazione, che è la descrizione dell’ambiente in cui vuole collocare la storia. Successivamente bisogna raccontare le interazioni di tutti i soggetti: territorio, uomini, aspetti della natura, eventuali emergenze ambientali e tutto quello che rende ’vivo’ il racconto. La terza parte è la focalizzazione dei dettagli».

C'è uno scatto o degli scatti cui è particolarmente legato?

«Anche se la mia passione è il fotoreportage etnico, da uomo di montagna direi che le immagini a cui sono più legato sono quelle che raccontano le grandi vette, perché nella grandiosità delle montagne c’è tutta la potenza della natura. Immagini come quelle del K2 o del Cerro Torre hanno sicuramente un posto ’permanente’ nel mio cuore».

Dalla macchina fotografica alla piccozza: qual è stata la sua ultima scalata o esplorazione?

«Più che dell’ultima mi piacerebbe parlare della prossima avventura. Tra un paio d’anni raggiungerò le 60 primavere e vorrei farmi un regalo, che è pure una sorta di conclusione di un percorso. Si dice che ogni generazione, in qualche modo, ’sopprima’ quella precedente; ebbene, assieme a mio figlio Attila vorrei, per il mio sessantesimo compleanno, affrontare una grande montagna, magari un ’Ottomila’. Padre e figlio insieme su un gigante della Terra: potrebbe essere una bella esperienza per entrambi e, forse, una storia da raccontare».

Pur andando nel mondo, mantiene un ricordo di Bassano?

«Devo essere sincero: la mia ’origine’ bassanese penso sia casuale. Le mie radici sono abbarbicate alle rocce dell’altipiano da dove vengono i nostri antenati cimbri e dove vive il mio ceppo familiare. Per questo, quando quarant’anni fa ho potuto decidere cosa fare della mia vita, ho scelto di vivere in montagna; da alcuni anni abito in un vecchio maso isolato in val di Rabbi, nel parco nazionale dello Stelvio. Questo non toglie che torni volentieri, ogni tanto, qui dove ho ancora tanti amici e soprattutto una mamma da coccolare. Di Bassano apprezzo la vitalità, dote rara in questi tempi di crisi».

Lei è in cammino da 40 anni: cosa sta cercando?

«Qualcuno, non ricordo esattamente chi, ma credo sia stato Confucio, ha detto che il senso della vita non sta nel punto di arrivo che ci si è prefissi di raggiungere, ma nel percorso che si compie. Un ’camminatore della vita’, non ha un motivo preciso per fare, ogni mattina, il primo passo. Sa semplicemente che deve farlo e che il senso si paleserà lungo la strada».
Ultimo aggiornamento: 16:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA