Elezioni e scandalo Mose: Patreve
finisce ko. Zaia: «Era una porcheria»

Venerdì 20 Giugno 2014 di Alvise Fontanella
Luca Zaia e Massimo Bitonci
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Uno-due, kappaò. La PaTreVe è stesa. E pensare che poche settimane fa Ivo Rossi, sentendosi già sindaco di Padova, ne parlava come di un radioso futuro. La grande città metropolitana, le province di Venezia Padova e Treviso riunite in una supercittà da due milioni e mezzo di abitanti, metà dell’intero Veneto. Un sogno di sinistra: i tre capoluoghi governati dal Pd a guidare la PaTreVe, fortezza rossa nel cuore del regno di Zaia. Il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, quello che pochi giorni dopo «non è mai stato del Pd», già si sentiva, come sindaco di PaTreVe, il vero governatore del Veneto: «Conteremo più della Regione» proclamò orgogliosamente appena due settimane fa. Non era destino: nel volgere di pochi giorni la trionfale elezione del leghista Massimo Bitonci a sindaco di Padova e la rovinosa caduta dello stesso sindaco di Venezia Orsoni, travolto dalla sporca marea del Mose, hanno rispedito la PaTreVe nel museo delle cere.



A volerla ancora fermissimamente, oggi, è rimasto Giovanni Manildo, sindaco di Treviso, unico e solo. Appena insediato nel municipio di Padova, Massimo Bitonci ha formalizzato quello che aveva già detto in campagna elettorale e che aveva avuto, evidentemente, il consenso dei padovani: «Non vogliamo diventare un sobborgo di Venezia: il nostro progetto è la Grande Padova, l’organizzazione dei Comuni contigui al capoluogo, servizi urbani condivisi per 400mila abitanti». A Treviso, il 25, Manildo ha perentoriamente invitato Bitonci a un convegno sulla PaTreVe, ma il sindaco di Padova lo gela: «Non ci vado di certo, i padovani non vogliono quel progetto, Manildo dica quello che vuole, mi pare che anche i trevigiani siano già stanchi di lui». Manildo non arretra: «Le istituzioni vanno avanti al di là delle persone. Mi aspetto che Bitonci spieghi le motivazioni del suo no, e comunque - ricorda il sindaco di Treviso - c’è una legge, vediamo che poteri avrà il commissario».

Ma la Lega non prende neppure in considerazione l’eventualità che la Città metropolitana possa esser fatta da un commissario, un non eletto, senza o magari contro il parere dei Comuni e della Regione.



Legittimato dagli elettori, a Padova Bitonci già delinea con i fatti tutt’altre politiche che la fusione con Venezia e Treviso: ha appena ricevuto la visita del sindaco di Verona, Flavio Tosi, segretario della Liga Veneta. I due leghisti, già rivali nel partito, da sindaci viaggiano di conserva: l’asse Padova-Verona si staglia già all’orizzonte, la collaborazione parte dalle Fiere, da un accordo di buon senso per non pestarsi reciprocamente i calli in Veneto, favorendo così la concorrenzaforesta di Milano. Ma la «sinergia» Padova-Verona va oltre. È una rete d’intese che - Tosi tiene a precisarlo - non è di marca leghista: «Io da sempre collaboro anche con il sindaco di Vicenza, Achille Variati». «Abbiamo fatto la rete veneta degli aeroporti, faremo quella delle Fiere, e di altro» annuncia Tosi. Di queste reti il Veneto ha bisogno, secondo la visione della Lega, di reti che uniscano tutta la Regione, rispettandone la natura policentrica: perché Venezia non è per il Veneto come Roma per il Lazio, o Milano per la Lombardia. Non c’è un centro, ma una rete. La nascita di una megalopoli non è, semplicemente, nel policentrico Dna del Veneto.

«Cosa diremmo ai veneti di Verona, di Belluno, di Vicenza, di Rovigo? - si chiede Luca Zaia - gli diciamo che sono diventati periferia? Che diamo più potere e più soldi a Padova, Treviso e Venezia, e le altre sono province sfigate? Questa è un’immonda porcheria» s’indigna il governatore del Veneto, che ha già impugnato la legge Delrio alla Corte costituzionale.



Già, la legge Delrio: una norma che sembra davvero ad personam, fatta apposta per imporre la Città metropolitana di Venezia anche contro il volere della Regione, fatta apposta, dal governo Pd su pressione dei Pd Zanonato e Orsoni, per consentire l’adesione perfino di «capoluoghi di altre Province», questione che soltanto in Veneto si poneva. Ma non piace a Zaia neppure la soluzione base, la città metropolitana di Venezia limitata ai Comuni della provincia. Ieri l’altro il Consiglio Provinciale, guidato da Alessandra Zaccariotto, della quale si parla come candidata sindaco di Venezia e quindi sindaco metropolitano, ha sollecitato il governo a rinviare i termini per aspettare il nuovo sindaco di Venezia e a modificare le norme Delrio per rendere possibile l’elezione diretta del Consiglio metropolitano. «Zaccariotto ha ragione, coglie un problema vero - riconosce Zaia - perché se il sindaco metropolitano è eletto dai sindaci dei Comuni che fanno parte della Città metropolitana, questo significa che sarà nominato dai partiti, frutto di trattative e di spartizioni a tutti i livelli. Ma se gli amministratori della Città metropolitana saranno eletti direttamente dai cittadini, allora scusate, perché dobbiamo chiudere la Provincia di Venezia se poi si inventa un altro ente elettivo per governare lo stesso territorio? C’è proprio bisogno di un altro carrozzone?».
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