Covid e Dad, Martina Colombari e Billy Costacurta: «Quante liti con nostro figlio di 16 anni, siamo stati da uno psicologo»

Domenica 11 Aprile 2021 di Ilaria Ravarino e Veronica Cursi
Covid e Dad, Martina Colombari e Billy Costacurta: «Quante liti con nostro figlio, siamo stati da uno psicologo». Le storie
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Da 25 anni è la compagna dell’ex calciatore 54enne Billy Costacurta, sposato nel 2004, e da 16 è madre di Achille, un adolescente dal temperamento guerriero e gli occhi blu come i suoi. Come tanti genitori in pandemia, anche l’attrice e conduttrice romagnola Martina Colombari, 45 anni e un titolo da Miss Italia nel 1991, affronta gli alti e bassi del mestiere di madre, «il più difficile del mondo, specialmente adesso.

Si va a intuito, col cuore e con la testa. E come si fa, si fa male». 


Crollare e lasciarsi andare, nell’isolamento familiare imposto dal Covid e dalla Dad, è un rischio concreto per molti genitori. 

«Noi ci siamo fatti aiutare. Chiedere un aiuto esterno da un esperto o uno psicologo, nei momenti di difficoltà, non è qualcosa di cui ci si debba vergognare. Anzi».

 
Genitori in pandemia: come si sopravvive? 
«Con grandi difficoltà. Il Covid ha rotto gli equilibri, ha stravolto la routine delle famiglie. Per non parlare dei genitori che hanno perso il lavoro: io non mi posso lamentare, ma nel mio piccolo è un anno e due mesi che sono ferma. Ero per la prima volta in tournée, con Corrado Tedeschi per Montagne Russe di Eric Assous, ma sul più bello i teatri sono stati chiusi».

 
Cosa le ha fatto più paura, come genitore? 
«Che la scuola davanti allo schermo non aiutasse mio figlio ad avere voglia di tornare in classe. Ogni scusa era buona per spegnere la telecamera. La merenda, una pausa, una sigaretta. I ragazzi di 16 anni hanno esigenze precise e lo studio non è necessariamente tra quelle».

 
Il momento più duro? 
«Le discussioni. Sia io che mio marito non abbiamo alle spalle percorsi scolastici conclusi con la laurea, perché le nostre carriere si sono sviluppate subito dopo il diploma. Per lui siamo l’esempio vivente che l’università non sia fondamentale. Dice: a voi non è servita. Ora si è convinto che vorrebbe aprire un ristorante. Ma prima deve fare gavetta da cameriere, trovarsi un socio, lavorare sulla creatività e sul marketing. È difficile spronarlo senza demotivarlo. Soprattutto adesso, che manca la distanza».

 
In che senso? 
«Già prima del Covid i genitori italiani non erano capaci di distaccarsi dai figli. E l’isolamento ci ha reso ancora meno lucidi. Noi ci siamo fatti aiutare da una psicologa che si occupa di genitorialità. Lo dico serenamente: chiedere aiuto non è un atto di debolezza, ma di grande amore per i propri figli».

 
Cosa avete imparato? 
«Che i figli hanno bisogno di aiuto, ma che noi genitori non possiamo metterci al loro posto. Dobbiamo lasciare che si assumano le loro responsabilità. Anche adesso».

 
Che consigli darebbe a un genitore provato dalla pandemia? 
«Di liberarsi dal senso di colpa. Di accettare anche di aver fatto degli errori in questi mesi, perché è dagli errori che si impara. Di avere tanta pazienza, anche con se stessi. Di non sentirsi sbagliati, di confrontarsi con altre coppie, perché le difficoltà le abbiamo provate tutti».

 
Questo in teoria. E in pratica? 
«Se il ragazzo è in difficoltà con la scuola, che sia dad o in presenza, affidarsi a un insegnante di recupero: le litigate più grosse con mio figlio le ho fatte quando provavo a seguirlo con i compiti, etichettandogli persino i libri. Può servire anche un lavoro su se stessi: io medito. Non c’è niente di più sbagliato che prendersi tutto sulle spalle».

 
Le spalle di chi? Madri e padri hanno sofferto allo stesso modo in pandemia? 
«Le donne sono sempre le più sacrificate tra lavoro, lavatrici, spesa e figlio “da collegare”».

 
E in casa sua com’è andata? 
«Io ho la fortuna di avere un marito che è un bravissimo papà. Mi appoggio a lui per farmi forza. Se io dico che secondo me abbiamo sbagliato, lui mi corregge: non abbiamo sbagliato, ci abbiamo provato. Abbiamo dato fiducia e libertà a nostro figlio, sta a lui gestirla. Gli uomini in questo sono un po’ più bravi, più centrati di noi. Ecco, spero che la pandemia insegni alle madri l’importanza di delegare ai padri. Prima li emarginiamo, e poi diciamo che non sono presenti: io penso invece che ci aiuterebbe farli entrare di più nella famiglia».


La soddisfazione più grande avuta da genitori in pandemia? 
«In un certo senso aver perso il ruolo di regolatori assoluti. Fino a oggi i divieti cui mio figlio doveva sottostare venivano solo da noi: lo studio, l’orario di ritorno dalla discoteca. Adesso ha conosciuto un’autorità più alta, quella dello Stato, che ci ha chiesto un sacrificio. Sta imparando a rispettarlo. E a capire che se diciamo no, non siamo cattivi».


Ne usciremo genitori migliori? 
«Di certo differenti. Più consapevoli. Probabilmente con delle armi in più. Alla fine di tutto questo, avremo superato insieme una prova molto difficile. E sarà il momento di darci, mamme e papà, una bella pacca sulle spalle. Ogni tanto serve».

LE STORIE

Quella vergogna di sentirsi “cattivi”
E nelle coppie crescono le distanze

di Veronica Cursi

La misura del disagio, in casa di Valentina, 40 anni, giornalista, un appartamento a Roma nord, è in quei due metri e 20 di tavolo sistemato in salone. E’ lì che ogni mattina, dal primo lockdown di un anno fa, quando la scuola chiude per Covid (e succede ciclicamente), lei e i suoi quattro figli di 5, 8, 10 e 14 anni, lavorano e studiano tutti insieme. Tutto il giorno. Da 10 mesi è in smartworking, «mi mancano persino le litigate con il capo», fa riunioni mentre il figlio piccolo la chiama dal bagno, l’altra vuole aiuto con le divisioni, il terzo deve ripetere storia e il grande fa finta di studiare guardando chissà cosa su Youtube. Per non parlare del tempo passato a sedare liti o a risolvere problemi tecnici con Zoom.

E il sottofondo è sempre lo stesso. «Silenzio», «fai i compiti», «stacca quella Playstation». 
«Passo tutto il giorno a urlare e quando finisco di lavorare non vedo l’ora di chiudermi in camera a guardare un film». E’ lì che a volte pensa, e se ne vergogna, «vorrei scappare di casa, pensare solo a me. E’ terribile dirlo per una mamma e questo mi fa sentire tremendamente in colpa. Prima ci ritagliavamo del tempo per noi, ora non riesco più a fare delle cose con loro che non siano i doveri della giornata: mangia, studia, fatti la doccia». Valentina è sola. Il marito fuori tutto il giorno, perché lui invece in ufficio ci può andare, la mamma di 73 anni che finora non è ancora stata vaccinata.

 
E’ una vita sospesa, la sua. Prima che il Covid depennasse gli appuntamenti in agenda, aveva riempito quella dei suoi figli di attività che la portavano a trottare da un posto all’altro. Dov’è la sua normalità? Andare a lavorare, far giocare i figli con altri bambini senza paura dei contagi, dove sono finte le cose banali? Le feste di compleanno, le lezioni di karate in palestra, il catechismo, i corsi di chitarra, i pomeriggi con i compagni di scuola. «Prima correvo da una parte all’altra della città per i loro impegni. Ero stanca ma felice, ora ogni notte mi chiedo “e se richiudono le scuole?” “Se qualcuno si contagia e devono rifare la quarantena?” Mi sento scoppiare».

 
Il Covid ha imposto a molti genitori una convivenza forzata con i propri figli: le case sono diventate prigioni, senza distrazioni. In questo stato di cose, sono tanti padri e madri a dirsi esausti. Il parental burnout è una sindrome da esaurimento. E va affrontata. Come ha fatto Chiara, 42 anni, tre figli maschi. Il grande, 13 anni, alle prese con la preadolescenza e lei con una nuova attività imprenditoriale da avviare dopo il fallimento del suo negozio che ha dovuto chiudere quando è scoppiata la pandemia.


Il Covid, la crisi economica, la Dad, l’impossibilità di seguire i ragazzi come voleva l’hanno mandata in tilt. E ha deciso di chiedere aiuto. «Ero diventata eccessivamente nervosa verso i miei figli e quei problemi che di solito erano affrontabili di colpo erano diventati insormontabili». Non faceva che ripetersi «sono una madre pessima». Stanca e in colpa di essere stanca, a differenza delle altre madri che riuscivano a fare tutto senza lamentarsi. «La mancanza di una quotidianità normale mi ha spiazzato, riversare tutto sulla famiglia senza potere contare su nessun aiuto esterno, compagno, nonni, è stato molto pesante. Ho capito che mi stava venendo un esaurimento nervoso». 
Nella coppia, poi, la situazione non faceva che degenerare: liti continue. «Avere poco tempo per noi, concentrarsi solo sui figli e poi le problematiche legate alla crisi, l’incertezza del futuro, hanno aumentato le tensioni». 


«IO NON ESISTO PIÙ»
«Ho capito che era necessario ritrovare del tempo per me. Io mi sentivo in colpa anche durante quell’unica ora di palestra online: 60 minuti a pensare che avrei dovuto stare con i miei figli. A volte mi sento una mamma terribile. Sento che mi hanno succhiato tutte le energie e io non esisto più».

E poi è importante condividere i ruoli con chi ci sta accanto. Perché, diciamoci la verità, oltre alle disuguaglianze economiche, il virus ci ha sbattuto in faccia un’altra grande realtà: il lavoro di cura, in Italia, è ancora prettamente a carico delle donne, molte delle quali hanno dovuto mettersi in aspettativa, se non licenziarsi. I problemi più grandi, poi, sono arrivati con il figlio maggiore: «Sono frustrata di non potergli dare una vita normale. A 13 anni si sta perdendo tutto: gli amici, le prime uscite, la comitiva. E’ diventato difficile anche concentrarsi sulla scuola, con la Dad è stato un incubo, hanno perso gli stimoli perché è mancato tutto il contorno, il contatto con i professori, la socializzazione». E quest’estate cosa succederà? Apriranno campus e centri estivi? Le domande frullano in testa, come i pensieri. E fermarli, a volte, è davvero difficile.
 

Ultimo aggiornamento: 12 Aprile, 10:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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